MONTI SIBILLINI POST SISMA. VAL DI PANICO: FOSSO DI S. SIMONE – AI PIEDI DELLE PARETI DEL MONTE BOVE NORD
Il 16 ottobre 2017 abbiano finalmente raggiunto in auto la frazione di Casali di Ussita completamente abbandonata, ci hanno accolto “solo” ben 9 cani da pastore.
Da Casali siamo saliti per il Fosso di San Simone descritto nel mio itinerario n.13(itinerario del ferro intorno a Casali di Ussita) per andare a vedere gli effetti post-sisma in quanto il canale è formato nel lato sinistro da Scaglia Rossa frantumata in appoggio per faglia diretta sulla Maiolica e sul Calcare Massiccio de “Le Cute”, che, da notizie ricevute, si era mossa a seguito del terremoto del 26 ottobre 2016.
Il Fosso di San Simone è completamente stravolto dall’ultima volta che lo avevo visto, nel 2015.
Quindi siamo saliti ai Campi di Casali per osservare più da vicino le ferite della parete nord del Monte Bove.
Qui, nel bosco alla base delle pareti e precisamente sotto allo spigolo nord-est, abbiamo notato un grande e ben visibile intaglio, ciò lasciava presumere che qualche grossa frana era arrivata fino allo stradone che sale da Calcara di Ussita per Poggio Paradiso e si era aperta un varco nel bosco.
Abbiamo quindi deciso di dirigerci alla base dello spigolo nord-est da dove parte la via di roccia Alletto-Consiglio per osservare cosa era successo.
Dalla strada che sale verso la Val di Panico, prima della fonte omonima, abbiamo seguito il tratturo che scende verso Poggio Paradiso – Calcara, dopo circa 500 metri degli enormi massi bianchissimi , grandi come un’auto, giunti fino alla strada posta 250 metri di dislivello più in basso dello spigolo, ci hanno indicato la posizione dell’intaglio che avevamo visto.
Siamo quindi saliti nel bosco in direzione delle pareti lungo la striscia di alberi abbattuti e grandi crateri di impatto intervallati, segno del rotolamento dei massi osservati.
L’immagine dell’intaglio nel bosco è anche ben visibile su Google Earth in quanto acquisita il 07/08/2017 quindi dopo il terremoto del 26-30 ottobre 2017 che ha provocato le grandi frane del Monte Bove.
Siamo giunti quindi fino all’attacco della via Alletto-Consiglio alla base dello spigolo nord-est del Monte Bove Nord, purtroppo le immagini sono scure perché il sole, a metà ottobre, non arriva più ad illuminare la base della parete nord ma la distruzione che abbiamo visto è evidente ed impressionante.
GIANLUCA CARRADORINI, ANDREA CARRADORINI, 16 OTTOBRE 2017.
16 – 17-Giunti sotto alla parete dello Spigolo Nord-Est ci sono massi ovunque e di tutte le dimensioni
20 -21 – massi enormi sparsi alla base dell’intaglio nel bosco, a più di 250 metri di dislivello più in basso della base delle pareti rocciose.
23 – 24- I massi scesi più a valle, in quello sopra si nota una faccia grigia (a sinistra dei bastoncini) che era quella esterna esposta agli agenti atmosferici, il masso sotto da un calcolo approssimativo (dalle dimensioni e peso del calcare) pesa più di 15 tonnellate !!!.
26 – 27-Lo stradone che dalle Sorgenti di Panico scende verso Poggio Paradiso – Calcara con i grandi massi arrivati fino lì.
28- Immagine satellitare da Google Earth acquisita il 07/08/2017 dove si nota in netto intaglio dalla base delle pareti all’interno del bosco provocato dai massi franati.
MONTI SIBILLINI POST SISMA : MONTE PORCHE E MONTE PALAZZO BORGHESE
Il 6 ottobre 2017, partendo dal parcheggio di Monte Prata riaperto al traffico veicolare in quanto la strada di accesso è stata attraversata dalla scarpata cosismica del terremoto del 30 ottobre 2016, abbiamo raggiunto il Monte Porche e il Monte Palazzo Borghese per il classico sentiero da Fonte della Giumenta.
Di seguito ciò che abbiamo osservato.
GIANLUCA CARRADORINI, ANDREA CARRADORINI, DAVIDE ANSOVINI
6 OTTOBRE 2017.
1-2 La faglia cosismica nelle placche rocciose (chiazza bianca a contatto con l’erba) e nel pendio erboso (frattura) sotto alla strada di Monte Prata poco prima del parcheggio
3 – 4- Le condizioni della strada per il Monte Prata 100 metri prima del parcheggio dei campi da sci (che si vede sullo sfondo).
6 – 7- Il versante ovest del Monte Porche con la scarpata cosismica, in due situazioni di illuminazione diverse, sopra al mattino presto, sotto al pomeriggio
10 – 11- Le “modeste” dimensioni (rispetto allo Scoglio dell’Aquila) della scarpata cosismica del Monte Porche.
19 – 20- Grandi frane ovunque sulla già friabile parete sud del Sasso di Palazzo Borghese.
23 – 24- Le due “piccole” scarpate cosismiche del Monte Argentella, che salgono dalla Valle delle Fonti (vedi itinerario n.34). Nella foto sotto sono indicate delle stazioni di piante alpine molto rare (foto 25-26)
VAL DI BOVE –MONTE BICCO – PASSO CATTIVO REPORTAGE DALL’INFERNO
Il 17 giugno 2017, ottenuto un pass per raggiungere Frontignano, abbiamo percorso l’anello classico: Parcheggio Hotel Felicita – Val di Bove – Canale est del Monte Bicco – Monte Bicco – Monte Bove Sud – Passo Cattivo e siamo scesi per la strada sterrata fino al canalone dei campi da sci di Frontignano quindi velocemente fino all’auto.
A parte la desolazione dei paesi attraversati in auto dopo oltre 7 mesi dal sisma, Visso, Ussita, Frontignano dove regna il totale silenzio, tutto si è fermato alla sera del 26 ottobre 2016, le macerie ancora sono tutte lì, non si incontra nessuno, non c’è assoluto movimento, non c’è nessuno che lavora, eppure il da fare non manca con centinaia di case crollate o lesionate di lavoro ce n’è per anni eppure nessuno sta facendo qualcosa.
Paesi nel più totale stato di abbandono, nelle macerie stanno crescendo le piante e forse presto saranno sommerse dal verde e nascoste dalla natura così saremo dimenticati ancora di più al nostro destino.
Che qualcuno abbia il coraggio di dirci che lo Stato è totalmente impotente di fronte a questa catastrofe e almeno ci metteremo al lavoro con le nostre forze a ricostruire anziché aspettare che la disperazione forzata ci porti alla stessa conclusione.
Al ritorno solo a Pievetorina abbiamo visto gente al lavoro forse nella nuova lottizzazione fuori del paese dove credo dovranno realizzare le prime casette di legno.
A Visso invece c’era una sola ruspa al lavoro nella demolizione di una abitazione parzialmente crollata prospiciente la strada principale, almeno qui l’hanno demolita anziché spendere dei soldi per la messa in sicurezza (facendo anche degli ulteriori danni) per poi demolirla tra qualche mese o forse qualche anno come hanno fatto in altri paesi !!!!
Tralasciando le mie considerazioni riporto di seguito le immagini in ordine cronologico dell’inferno che abbiamo visto, nonostante la pessima qualità delle foto a causa della giornata nebbiosa ed afosa, pensavamo di aver visto già molta distruzione nelle precedenti uscite ma il peggio non l’avevamo ancora visto.
MONTI SIBILLINI POST SISMA : NUOVE INCREDIBILI IMMAGINI : CORDONE DEL VETTORE – FAGLIA DEL TERREMOTO DEL 30 OTTOBRE 2016
Il 23 settembre 2017, partendo dalla strada Castelluccio – Forca di Presta, percorrendo l’itinerario n. 6 riportato nel mio libro “IL FASCINO DEI MONTI SIBILLINI” anno 2014, che conduce alla Cima del Redentore, passando per la zona dei cosiddetti “frammenti metallici”, abbiamo raggiunto il Cordone del Vettore e lo Scoglio dell’Aquila , situati nel versante ovest della Cima del Redentore.
Non descrivo la salita in quanto banale anche se priva di tracciato.
Durante la salita si attraversa una seconda scarpata cosismica formatasi dopo il terremoto del 30 ottobre 2016 seppure più bassa ma che percorre praticamente tutto il versante ovest della Cima del Redentore ad una quota di 1500 – 1600 metri.
In circa 1,40 ore si raggiunge la base rocciosa del Cordone del Vettore che rappresenta la millenaria faglia cosismica che si è abbassata con il terremoto del 24 agosto 2016 di 30-40 centimetri, che ha subito un ulteriore spaventoso abbassamento con il terremoto del 30 ottobre 2016 e che successivamente ha continuato ad abbassarsi ulteriormente fino agli attuali quasi 2 metri !!!!.
In questa fascia rocciosa l’abbassamento di livello del terreno verso il Piano Grande è indicata da una netta fascia bianca alla base delle rocce, la parte superiore esposta agli agenti atmosferici è più grigia e quella che una volta stava sottoterra protetta dalla terra, più bianca.
Avevamo già osservato l’analogo fenomeno alla Valle delle Fonti il 30 agosto 2017 ma con altezze inferiori. Al Cordone del Vettore invece il dislivello è veramente eccezionale e visibile anche dal Castelluccio come una netta riga bianca che corre alla base delle pareti circostanti lo Scoglio dell’Aquila. Penso che a memoria d’uomo non si sia mai ricordata una scarpata cosismica così imponente. Non aggiungo altro, le immagini parlano da sole.
GIANLUCA CARRADORINI, ANDREA CARRADORINI, DAVIDE ANSOVINI, SERRANI FAUSTO 23 SETTEMBRE 2017.
5-6 La scarpata cosismica del Cordone del Vettore visibile come una lunga fascia bianca alla base delle rocce che diventa sempre più netta man mano che ci si avvicina .
13- 14 Nel punto più alto e più levigato della scarpata.
LAGO DI PILATO DA FOCE PER IL FOSSO DELLA TAGLIOLA (Evitando Le Svolte).
Il presente itinerario è proposto per raggiungere il Lago di Pilato partendo da Foce di Montemonaco risalendo per un vecchio sentiero per il Fosso della Tagliola al fine di evitare le pericolosissime Svolte che a causa del terremoto dell’ottobre 2016 sono interdette alle escursioni in quanto sono state interessate da frane e smottamenti che hanno fortemente danneggiato il classico sentiero di accesso alla Valle del Lago di Pilato rendendo molto pericolosa la risalita.
Ricordo che la il Lago di Pilato può essere raggiunto facilmente sempre evitando le Svolte per l’itinerario Foce – Fonte della Cerasa – Fonte Fredda – Fonte Matta, riportato nella bibliografia ufficiale.
L’itinerario proposto, percorso il 27 maggio 2017, descritto di seguito invece non è riportato nella bibliografia ufficiale, la variante di salita per la cresta nord-ovest del Monte Torrone e la traversata del versante ovest fino al Lago di Pilato senza scendere nella valle è consigliata solo ad escursionisti esperti.
Le successive immagini testimoniano ciò che abbiamo osservato nella valle dopo il sisma dell’ottobre 2016, abbiamo assistito ad un cambio epocale del paesaggio dei Monti Sibillini.
Premetto che il Lago di Pilato non è asciutto, come visibile nelle foto seguenti, nonostante le forti nevicate invernali, come invece affermato da degli idioti sul web (vedi cronache maceratesi del 16/05/2017) seppure almeno 4 -5 metri sotto al livello massimo dell’invaso, anche se negli anni ’90 la situazione fu molto più grave con addirittura il prosciugamento estivo dello specchio d’acqua.
E neppure il Pizzo del Diavolo si è sbriciolato, anche se presenta numerose frane, come affermato da chi non è mai andato in montagna e non sa che ai piedi delle sue pareti i ghiaioni di erosione sono presenti da millenni.
Anche le voci della possibile estinzione del Chirocefalo del Marchesoni (il crostaceo endemico del Lago di Pilato) sono false in quanto chi ha divulgato tali notizie ha visitato il Lago nel periodo in cui il crostaceo non è ancora nato, il periodo vitale annuale inizia verso metà giugno per terminare con i primi freddi, ho visto dei Chirocefali nuotare ancora a metà ottobre con la superficie del lago ricoperta di ghiaccio.
Accesso:
Si raggiunge in auto la frazione di Foce di Montemonaco quindi si parcheggia al termine del paesino a causa di una grossa valanga che ha bloccato la strada per il Piano della Gardosa con una quantità enorme di tronchi di alberi abbattuti.
Descrizione salita percorso integrale:
Si risale a piedi per 2,5 km la strada del Piano della Gardosa fino a raggiungere (30 minuti) sulla sinistra l’ampio canalone che scende dal Monte Torrone, 300 metri prima di iniziare la salita per Le Svolte (358073,2 E – 4746426,8 N; 1140 m.).
Si risale il canalone detritico (Fosso della tagliola) senza itinerario poi per tracce di sentiero a tornanti fino a delimitare completamente il bosco situato alla vostra destra.
Si raggiunge in circa 30 minuti uno slargo detritico (358668,5 E – 4746284,5 N; 1390 m.) dove confluiscono due fossi, risalendo ancora per 100 metri si raggiunge una cascata alla base del Fosso della Tagliola, deviando invece verso destra alla base di una scarpata, si individua una traccia di sentiero che inizia una traversata in salita tra bosco e scarpata. Dopo circa 100 metri la traccia si biforca, la più bassa entra nel bosco, l’altra risale ancora il margine superiore del bosco.
Si consiglia di prendere la traccia superiore in quanto, essendo il sentiero non più frequentato da anni, la traccia nel bosco si perde e si individua difficilmente l’uscita.
La traccia in salita porta brevemente ad un grande faggio isolato (cerchiato con (1) nella foto n. 1) tra il bosco sottostante e la scarpata a monte (358574,5 E – 4746084,7 N; 1465 m.).
Si risale la ripida scarpata a monte del faggio senza traccia fino a portarsi nei prati sommitali.
Dai prati si traversa in salita verso destra, si scavalca un canale e ci si dirige verso un faggio isolato (358482,1 E – 4745899, 8 N; 1545 m.; 30 minuti) nel prato sopra al bosco (cerchiato con (2) nella foto n. 1).
Sotto al faggio, nei pressi di un tratto detritico, si nota la traccia di sentiero a tornanti che sale dal bosco, (traccia più bassa sconsigliata) e si ricollega al sentiero raggiunto.
Si continua in salita per altri 50 metri e si raggiunge il comodo sentiero che proviene da Fonte Fredda e si addentra nella Valle del Lago di Pilato.
Per chi vuole raggiungere il Lago di Pilato più facilmente e comodamente si segue il sentiero che scende da Fonte Fredda, scavalca la cresta nord-ovest del Monte Torrone e si collega al sentiero che sale dalle Svolte nei pressi di Fonte Matta (1560 m).
Per gli escursionisti esperti si consiglia di risalire la ripida cresta nord-ovest del Monte Torrone in corrispondenza di un canalone detritico posto sulla verticale del punto di incontro con il sentiero che scende da Fonte Fredda.
Raggiunta la cresta (358502, 6 E – 4745740 N; 1630 m. foto n.10-11) si risale per circa 200 metri per il suo ripido filo roccioso fino a quota 1770 m. (358657,8 E – 4745595,5 N) dove si intercetta una lieve traccia proveniente sempre dal sentiero di Fonte Fredda.
La salita integrale della cresta nord-ovest del Monte Torrone dal Piano della Gardosa è stata effettuata da Serrani Fausto nel 2015.
La traccia scavalca a destra la cresta e traversa in quota il ripidissimo versante ovest del Monte Torrone in direzione della Valle del Lago di Pilato, questo è il tratto più impegnativo della salita (foto n.4).
Traversando in piano per circa 250 metri (foto n. 12-13) si superano alcuni canali con tratti rocciosi su terreno molto ripido per dirigersi sempre in piano verso i meno ripidi pendii erbosi di Costa Bella, nel versante ovest dell’Anticima Nord del Monte Vettore (45 minuti).
Raggiunti i prati a cotica erbosa chiusa di Costa Bella si continua una lunga ma comoda traversata in quota, in lieve salita, della sponda destra orografica della Valle del Lago di Pilato evitando due tracce che scendono, la prima verso il diroccato casaletto di Monte Rotondo e la seconda a metà valle.
Dopo circa 1 ora si raggiunge la sommità una fascia rocciosa che incombe sulla sponda sinistra (salendo) del Lago di Pilato da cui si gode di una imponente ed insolita visione del Pizzo del Diavolo.
Al centro della fascia rocciosa un corridoio ( 358368,1 E – 4743599,7 N; 1965 m. foto n. 17-18) con tracce di sentiero porta, in breve ma ripida discesa, direttamente alla conca del lago di Pilato.
Discesa:
Dal Lago di Pilato si consiglia di scendere per l’itinerario che conduce da Fonte Matta a Fonte Fredda – Fonte della Cerasa e quindi scende a Foce riprendendo in parte in sentiero usato per la salita a monte delle Svolte. E’ vietato ed assolutamente sconsigliato percorrere il sentiero di discesa che attraversa Le Svolte per l’elevato pericolo di caduta massi.
GIANLUCA CARRADORINI – FAUSTO SERRANI 27 MAGGIO 2017
5 – 6- L’itinerario di salita e la traversata fino al Lago di Pilato.
17 – 18- Il ripido tratto di discesa da Costa Bella al Lago di Pilato.
CARTE SATELLITARI DEL PERCORSO CON:
GIALLO: Percorso di avvicinamento
ROSSO: Percorso proposto
VERDE: Percorso di discesa
LA GRANDE FRANA DELLA VALNERINA
Questo che propongo non è, come di mio consueto, un itinerario escursionistico o alpinistico ma un pellegrinaggio alla scoperta di una delle maggiori manifestazioni di distruzione che ha prodotto il terremoto del 26 ottobre 2016 nella Vallata di Visso e credo che non ci sia mai stata una manifestazione simile in tutta Italia.
La grande frana della Valnerina si apre agli occhi del visitatore in tutta la sua spaventosità dopo circa 800 metri dall’ultimo edificio di Visso, un ex ristorante costruito sotto una parete strapiombante a destra della strada e chiuso da anni dopo un incendio.
Percorrendo la strada (sbarrata e con divieto di accesso ma senza presidio di forze dell’Ordine come per l’ingresso a Visso) si arriva in 10 minuti sotto alla parete rocciosa da dove si è staccata una massa di roccia enorme e incredibile .
Del resto non è possibile non vederla, la strada scompare sotto un verde lago formato dallo sbarramento di metri e metri di rocce e massi grandi come un’auto caduti a valle che ne interrompono il percorso.
Ci accorgiamo che altri prima di noi si sono avventurati ai piedi della frana, numerose tracce di stivali si perdono più avanti nel fango della strada, probabilmente pescatori che hanno approfittato del lago che si è formato per andare a pesca.
Un altro aspetto che mi ha colpito è stata la quantità di polvere ancora attaccata alle piante nella parte di tronco rivolta verso la frana , nonostante sono passati quasi 5 mesi invernali, con pioggia e neve, pensate con quale onda d’urto la polvere prodotta dalla caduta della frana si era attaccata tenacemente ai tronchi.
L’itinerario finisce qui, ma si sta dei minuti a guardare tale spettacolo, se lo vogliamo chiamare così, in totale silenzio, non si riesce a parlare, a dire nulla, si osserva la distruzione che il sisma ha creato senza avere la forza di fare commenti.
Poi quando si è leggermente assimilato lo shock si pensa a chi poteva passare in auto di li l’attimo in cui è crollata la parete o semplicemente essere li durante la scossa come spettatori di questa catastrofe della natura nel punto dove ho immortalato il mio incredulo amico Fausto.
Solo chi osserva questi terribili spettacoli prodotti dalla natura riesce a capire che significa subire un terremoto.
Forse sarebbe opportuno portare li qualche nostro politico per farlo rendere conto in che stato di disagio ed abbandono viviamo.
Poi piano piano riusciamo a muoverci, ci guardiamo intorno, saliamo un costone roccioso per vedere dall’alto il lago che si è formato, è addirittura bello, di un colore verde smeraldo.
Dallo sperone roccioso ci rendiamo ancora di più conto della distruzione operata, la strada scompare sotto a qualche metro di verde acqua e a forse una decina di metri di rocce.
Vedere il guard-rail, l’asfalto e il muro di contenimento laterale che, come in una prospettiva pittorica, convergono e si inabissano nel lago per scomparire nel nulla è una immagine che non dimenticherò mai.
Chissà quando potremo ripercorrere la strada con le auto, forse mai.
Poi lentamente, e confesso, con una certa commozione, ci incamminiamo verso Visso.
Nonostante è mattino presto, lungo la strada ci vengono incontro due Vigili del Fuoco, con timore ci prepariamo a confessare il nostro incauto gesto e ad una eventuale multa se non addirittura ad una denuncia, da buoni Italiani cerchiamo di trovare un compromesso…. gli regaliamo uno dei miei libri o che altro………….
I due Vigili si avvicinano e con nostro stupore ci chiedono “dov’è la frana?”, erano due Vigili del Nord Italia che volevano vedere anche loro questo terribile spettacolo della natura.
Così, senza dirci altro, noi, trattenendo a stento una risata liberatoria, ritorniamo verso Visso e loro scendono la strada verso la frana.
Termina così questa nostra mattinata di sgomento.
Anche per divagare un po dai drammi del terremoto è interessante è sapere che nella prima parte della valle attraversata a piedi cresce una rarissima pianta, la Ephedra nebrodensis, una pianta antichissima relitto dell’era terziaria caratterizzata da lunghi rami senza foglie.
Descrizione:
EPHEDRA NEBRODENSIS
Famiglia: Ephedraceae
Descrizione: Piccolo arbusto dioico alto 20-150 cm. I rami sono legnosi, contorti, con corteccia roseo-bruna, desquamante a foglietti. I rami sono verdi e striati, con articoli di 4-6 cm e un diametro di 0,5-1 mm in quelli più estremi. Le foglie sono ridotte a guaine triangolari, brune di 0,6-0,8 X 1-1,5 mm. L’infiorescenza femminile è uniflora, mentre quella maschile è un glomerulo di 2-4 paia di fiori con 3-5 stami. L’infiorescenza femminile origina la tipica infruttescenza globulosa della famiglia, di colore rosso intenso.
Fiorisce tra maggio e giugno, velenosa, contiene efedrina.
Ecologia: Vegeta su rupi calcaree montane (1100-1900 mslm).
Corologia: S.-Mediterranea. (Tenerife, Francia, Spagna, Nord Africa, Italia, Balcani, Grecia e Turchia).
Distribuzione nazionale: Rara e localizzata sull’ Appennino (a N sino a San Marino), in Sicilia e Sardegna, in circa 35 stazioni di cui alcune con numero di esemplari molto limitato.
Distribuzione nelle Marche: Molto rara, si trova al M. Catria, Gola di Frasassi, Valle Scappuccia, M. Nerone, nella nostra zona si ritrova una stazione nei pressi di Camerino a Valpovera nel basso versante est del Monte Montigno, altra stazione nei pressi di Visso (foto) in particolare nella zona cerchiata della foto satellitare nella zona rocciosa più in alto e con un maestoso esemplare centenario sul prato ad est del promontorio roccioso (tracce di sentiero) situato poco più a valle dell’ex ristorante inoltre diversi esemplari sono visibili addirittura sulla rupe che sovrasta l’edificio stesso.
GIANLUCA CARRADORINI – FAUSTO SERRANI Marzo 2017
INFERNACCIO – MAI PIU’ COME PRIMA MAGGIO 2017
Vi avevo lasciato alle belle immagini delle cascate delle “Pisciarelle” illuminate dal sole al tramonto e alle forti immagini di distruzione delle frane sulla strada di accesso provocate dal terremoto del 30 ottobre 2016 e della grande slavina nel piazzale delle “Pisciarelle” ma non ci eravamo addentrati all’interno della valle dell’Infernaccio e non immaginavamo mai di vedere ancora più distruzione, quello che avevamo visto ad aprile non era nulla.
Muniti prima di tutto di casco !!! e di identificazione del Club Alpino Italiano per il monitoraggio di sentieri di montagna, essendo membro della commissione scientifica e sentieri della Delegazione CAI Marche, siamo entrati nella valle dell’Infernaccio percorrendola fino a Capotenna.
Di seguito il reportage fotografico cronologico di ciò che abbiamo visto.
Confesso che le immagini, pur essendo reali, non danno idea di ciò che tra ottobre 2016 e febbraio 2017 è accaduto in questa martoriata valle.
In 40 anni di mie salite nei Monti Sibillini non ho mai visto nulla di simile.
La risalita della valle presenta difficoltà, già per arrivare alle Pisciarelle, come fatto osservare nel precedente reportage, grandi frane sulla strada rendono faticosa e pericolosa la discesa, poi nel piazzale, non essendoci più il ponte di cemento, occorre guadare il fiume su tronchi instabili e scivolosi. Poi bisogna superare la grande slavina con ghiaccio scivoloso e tronchi in grande quantità, ma d’estate dopo lo scioglimento non crea più difficoltà.
Giunti prima della forra dell’Infernaccio il fiume ha cambiato percorso e bisogna di nuovo attraversarlo su massi e tronchi scivolosi. Giunti poco prima del ponticello metallico, che si è danneggiato di lato ed è senza protezioni laterali ma ha tenuto, un grande masso rende faticoso il percorso (foto n.1). Nella gola, prima di giungere all’uscita della galleria, un grande accumulo di neve ostruisce il sentiero e bisogna salirci sopra per ridiscendere in un tratto di ghiaccio liscissimo, ma anche questa difficoltà sparirà entro l’estate (foto n. 2).
Poco dopo aver superato l’uscita della galleria ed il ponticello con il caratteristico masso piramidale, sulla sinistra scende il fosso di Mèta, qui si nota sul torrione roccioso di fronte la grande frana (foto n.3) staccatasi a seguito del terremoto del 30 ottobre 2016 che ha formato il laghetto situato più in avanti nella vallata, in questo punto un tratto di 150 metri di strada è totalmente sommerso da alberi abbattuti di una valanga scesa dai torrioni dei Grottoni della Priora, la valanga ha superato il fiume ed ha travolto anche gli alberi dell’altra sponda del fiume ma in questo tratto non rimane alcun accumulo di neve (foto n.4) .
In questo punto è caduta una valanga di neve polverosa che essendo meno compatta si allarga di più nello spazio rispetto ad una slavina a lastroni (come quella caduta nel piazzale delle Pisciarelle) per cui si distribuisce in uno spessore minore su una superficie più ampia e quindi essendo anche meno compatta si scioglie prima dell’accumulo molto più compatto della slavina e quindi non lascia tracce più a lungo.
Quindi si percorre la strada di fondovalle senza difficoltà fino a poco prima dell’ampio slargo del Fosso Le Vene dove grandi quantità di pietre bianche indicano la grande frana.
La grande frana (foto n. 5 – 6) si apre alla visione nella sua spettacolare conoide di rocce bianchissime attaccata alla parete rocciosa del lato sinistro della valle.
Anche in questo punto occorre guadare il fiume e raggiungere la base della grande frana per costeggiarla fino al suo termine dove ci si affaccia nel laghetto di acqua azzurra formato dallo sbarramento della frana sul fiume Tenna (foto n. 7 – 8 – 9).
Pur nella spaventosità delle forze della natura che hanno creato questa frana tutto sommato il laghetto è anche un bello spettacolo della natura.
Si costeggia faticosamente tutta la sponda sinistra del laghetto, alla base della frana, su massi e rocce molto instabili e con rischio di caduta di massi dall’alto.
Un fenomeno strano che mi ha colpito è che prima della frana, anche a distanza di circa 100 metri e nel laghetto, come osservabile nelle foto, ci sono dei tronchi di alberi che seppure danneggiati in modi diversi e con i rami totalmente o parzialmente rotti, sono rimasti piantati nel terreno ma praticamente nessuno di essi ha messo le foglie, sembra che anche gli alberi siano rimasti impauriti dalla frana e che non si sono ripresi dallo stato di shock.
In genere gli alberi hanno una grande vitalità ed ho visto più volte che anche se rotti, spezzati o piegati con le slavine riescono comunque a rimettere foglie e nuovi getti.
Si giunge così al Fosso Le Vene e si prosegue sulla strada ancora intatta fino a raggiungere la deviazione per la Forra della Sibilla dove abbiamo trovato uno strano masso descritto di seguito (foto n.10). Risalendo ancora la strada dopo circa 400 metri ci si imbatte in un altro tratto interessato da un’altra valanga, qui la distruzione è totale, abbiamo impiegato 10 minuti per percorrere solo 200 metri di strada tra alberi abbattuti di tutte le dimensioni (foto 12 – 13).
Percorriamo l’ultimo tratto di strada ancora integro prima di Capotenna quindi speravamo di aver finito di vedere distruzione. Giunti alla spianata di Capotenna invece lo scenario che ci si è aperto davanti è qualcosa di incredibile. La valle è stravolta da piante abbattute di tutte le dimensioni, da semplici arbusti alti un metro a piante ultracentenarie alte decine di metri; tutto a terra nel caos più totale, nella Valle Lunga grosse frane si sono staccate dal versante est di Cima Cannafusto (foto n.14); grandi porzioni di bosco totalmente abbattute ai piedi del versante sud del Pizzo Berro.
Ci guardiamo intorno increduli, ci domandiamo ma che cosa è successo quassù questo autunno e questo inverno. Osservando la zona dall’alto della collina di sinistra di Capotenna notiamo che sicuramente tale distruzione è causata da almeno tre grandi valanghe di neve polverosa in quanto non vi è praticamente più traccia di accumuli di neve scese dal versante est di Cima Cannafusto per la Vallelunga, dal canale del versante sud di Pizzo Berro e dal Fosso della Cerasa del Pizzo Regina che ha scavalcato anche la sponda del canale stesso scendendo verso Capotenna.
Anche qui notiamo qualcosa di strano come osservabile nelle foto n.17, 24 e 25, generalmente quando cade una valanga gli alberi abbattuti e sradicati sono rovesciati con le cime verso valle nella direzione presa dallo spostamento d’aria e della massa nevosa e con le radici verso monte.
A Capotenna molti alberi abbattuti mostrano tale posizione e molti altri addirittura adiacenti si trovano esattamente nella posizione opposta.
Da questi segni e dalla distruzione osservata sono tentato di supporre che le valanghe che hanno colpito questa vallata siano cadute contemporaneamente forse lo stesso 18 gennaio 2017 (valanga di Rigopiano) in occasione delle tre scosse di magnitudo superiore a 5 che si sono registrate nel corso di una sola mattinata e che lo spostamento di aria generato sia stato talmente elevato che gli alberi si sono mescolati tra di loro, chi cadeva in un verso e chi cadeva nel verso opposto.
Analizzando la zona con le immagini satellitari di Google Earth ho ipotizzato i percorsi delle tre valanghe che si sono abbattute a Capotenna (foto n. 30) ed ho notato che tutte e tre hanno raggiunto la zona di fondovalle nei pressi della captazione dell’acquedotto dove abbiamo notato la maggiore concentrazione di alberi abbattuti posizionati in versi opposti.
Girovaghiamo un po’ nella zona, ci imbattiamo in una roulotte di pastori (foto n.27) sventrata dalla furia di una valanga, nella sommità del colle che sovrasta a sinistra il lungo muro della captazione in muratura dell’acquedotto del Tenna troviamo addirittura un sinkhole (foto n. 23) ossia una voragine circolare sul terreno profonda 4 metri e larga circa 6 metri di come quelle che si sono aperte nel Piano Grande di Castelluccio prodotta dal crollo del tetto di una cavità sotterranea a seguito dei vari terremoti.
Quest’anno la natura si è proprio accanita con i nostri meravigliosi Monti Sibillini.
L’Infernaccio non è più la meta estiva domenicale di centinaia di persone, di intere famiglie, l’Infernaccio non sarà mai più come prima.
Ricordo che attualmente la strada per l’Infernaccio è sbarrata dopo circa un chilometro da Rubbiano quindi il parcheggio di Valleria non è raggiungibile in auto e vige il divieto assoluto di accesso su tutta la valle.
A causa dei pericoli oggettivi che ancora gravano nell’intera valle e delle grosse difficoltà di percorrenza del sentiero (strada) Pisciarelle – Infernaccio – Capotenna è assolutamente sconsigliato percorrere tale itinerario.
1 – Il “piccolo” masso nel sentiero dell’Infernaccio poco prima di scendere al ponte di metallo
2 – Accumulo di neve di slavina che occupa il sentiero e parte del torrente, ci obbliga a passare sopra.
Il torrione destro orografico del Fosso Le Vene con la grande frana che ha formato il laghetto.
4-Il tratto di strada dopo la galleria interessato dalla slavina, alberi abbattuti a destra e sinistra del fiume.
5-La frana del torrione destro orografico de Le Vene, sullo sfondo il torrione sinistro.
Le proporzioni della frana.
7 – 8 – Il laghetto dell’Infernaccio formato dalla frana del terremoto del 30 ottobre 2016.
9 – Il laghetto con i tronchi degli alberi spogli rimasti piantati nel terreno.
Ad un certo punto, nella biforcazione della strada che va a Capotenna con il sentiero che scende verso la Forra della Sibilla o Arcofù,(foto n.11) abbiamo notato un grande masso appoggiato a dei faggi proprio di lato della strada che a mia memoria non c’era prima.
Osservando bene il grande masso, delle dimensioni di circa 1,7 x 1,2 e 1,5 metri di altezza, esso presentava un evidente lato grigio e con licheni esposto agli agenti atmosferici e gli altri cinque lati di colore bianco chiaro con tracce di polvere bianca che indicavano che erano i lati non esposti agli agenti atmosferici e quindi interni alla parete rocciosa da cui si è staccato di cui uno con della terra nera fortemente attaccata, il lato che aveva toccato terra nella caduta.
Ci siamo domandati :
da dove era caduto il masso se verso valle le pareti rocciose distano circa 50 metri e siamo a 10 metri sopra il livello del fiume e verso monte ci sono 300 metri di bosco fitto ?
aveva compiuto un salto nel vuoto fino a quella distanza dalle pareti ?
Verso valle (verso il fiume), ad un dislivello dal fiume di circa 10 metri, ad una distanza dal masso di circa 1,5 metri abbiamo trovato un grande cratere di impatto della profondità di circa 1 metro e della larghezza di circa 2,5 metri, parzialmente sommerso dalle foglie secche, che indica che il masso è caduto dalle pareti di lato del fiume, sicuramente a causa del terremoto dell’ottobre 2016.
Non è quindi possibile che, cadendo dalle pareti, ha rotolato dal fiume ed è risalito di 10 metri sulla sponda opposta ma è arrivato fino a quel punto per caduta libera nel vuoto dall’alto delle pareti e che toccando terra alla velocità di caduta è rimbalzato arrivando nella posizione attuale.
Ho stimato che il masso di calcare (carbonato di calcio con densità di 2.4 – 2.7 t/m3), delle dimensioni di circa 3 metri cubi, ipotizzando una densità media di 2,5 t/m3 ,pesa circa 7,5 tonnellate
Tramite Google Earth ho ritrovato la zona e per curiosità ho ricostruito graficamente la sezione della valle e la traiettoria di caduta del masso. Ho visto che in quel punto le pareti rocciose sono alte circa 250 metri ipotizzando che il masso si è staccato da quell’altezza anche se credo abbia rotolato da molto più in alto, mi sono divertito a calcolare la velocità nel momento dell’impatto, il calcolo, seppure approssimato, mi ha portato ad una valore di circa 250 km/h.
Pensate di essere nel sentiero e che d’un tratto dal cielo vi cade davanti un masso di 7,5 tonnellate alla velocità di 250 km/h …….. che bella esperienza !!!
10 – il grande masso caduto ai lati della strada
11- Forra della Sibilla o Arcofù, per la presenza di un arco di roccia (in alto), anch’essa interessata da conoidi di frane (in basso).
12 – 13 – Il secondo tratto di strada distrutto da una valanga; per percorrere 200 metri abbiamo impiegato 10 minuti !!!
14- Il versante est di Cima Cannafusto con alcune grandi frane prodotte dal terremoto in alto e le conoidi di detriti in basso, nella fascia mediana di ginepri segnata dalle frecce corre il sentiero descritto nell’itinerario n.9 dopo l’uscita del mio secondo libro .
15- La spianata di Capotenna, è rimasto un solo albero !!!!
16- Le dimensioni dell’ultimo albero di Capotenna.
17 – 18- La spianata di Capotenna con alberi secolari abbattuti dalle valanghe, alcuni posizionati in versi opposti
19 – 20- Capotenna vista dalla collina a sinistra della captazione .
21- La parte terminale del canale del versante sud di Pizzo Berro con gli evidenti segni della valanga.
22- Il bosco sottostante il versante sud di Pizzo Berro “tagliato” dalla valanga.
23- Il Sinkhole profondo circa 4 metri e del diametro di 6 nella sommità della collina sopra a Capotenna.
24-25- esempi di alberi abbattuti dalle valanghe e posizionati in versi opposti.
26- Il casale Rosi con le pareti crollate con il terremoto.
27- La roulotte dei pastori sventrata dalle valanghe.
28- Difficili passaggi tra le centinaia di alberi abbattuti di tutte le dimensioni
29- Quel che rimane della fontanella di Capotenna, rovesciata e spostata ma almeno il tubo ancora porta acqua.
30- Il percorso ipotizzato delle tre grandi valanghe che hanno colpito Capotenna.
In rosso la valanga del versante est di Cima Cannafusto, in Giallo la valanga del canale sud di Pizzo Berro ed in verde la valanga del canale della Cerasa del Pizzo Regina (Monte Priora), tutte e tre convogliano a Capotenna da direzioni diverse.
GIANLUCA E FAUSTO MAGGIO 2017
GIRO DEL MASSICCIO DEL MONTE VETTORE PER IL “CANALE DEL TERREMOTO” DEL 24 AGOSTO 2016.
In data 3 settembre 2016 è stato risalito il monte Vettoretto per il canale situato nel suo versante sud ribattezzato “Canale del terremoto” che, dalla strada che scende da Forca di Presta verso Pretare, sale verso la cima del monte e che rappresenta la proiezione sulla superficie terrestre della faglia, che prosegue poi nel cosiddetto “cordone del Vettore” nel versante ovest della Cima del Redentore, come ben visibile da Castelluccio, il cui movimento ha scatenato il violento sisma del 24 agosto 2016.
A seguito del sisma in tutta la faglia ed in particolare nel canale di salita si è aperta una continua e spaventosa fenditura nel terreno che, dalla strada, giunge fino al sentiero per il Monte Vettore praticamente in corrispondenza della Croce di Tito Zilioli per continuare visibile a tratti per altri chilometri lungo il “Cordone del Vettore” praticamente fino a Forca Viola.
Tale itinerario non è attualmente consigliato percorrerlo, almeno fino a che non si placa lo sciame sismico ancora in atto anche se comunque non ci sono espliciti divieti nella zona e il canale è privo da pericoli oggettivi nel tratto dalla strada Forca di Presta-Pretare fino alla Croce di Zilioli e alla cima del Monte Vettoretto salendo nel canale per la sua sponda sinistra dopodiché, nel caso, è assolutamente da evitare nel tratto dallo Scoglio dell’Aquila fino a tutto il Cordone del Vettore per il pericolo evidente di caduta di massi che si possono verificare in caso di scosse.
Durante la salita il mio pensiero non è potuto che andare agli oltre 290 morti e a tutte le persone che hanno perso affetti, abitazioni, attività e suppellettili, sparsi nei vari paesi che si vedono, ai piedi del M. Vettore, salendo nel canale.
Tra qualche tempo, con la neve e la pioggia, la frattura nel terreno prodotta dal sisma si ricoprirà ma la più profonda frattura prodotta nelle vite delle moltissime persone che abitano la zona colpita rimarrà per sempre.
L’itinerario proposto dovrà essere un ricordo nel tempo di queste tristi giornate per chiunque lo percorrerà, nella speranza che tali disastrosi eventi non si verifichino mai più .
Accesso:
L’itinerario prevede come base di partenza una piazzola di parcheggio raggiungibile in auto dalla strada che da Forca di Presta scende verso Pretare-Montegallo.
La piazzola si trova a sinistra scendendo a circa un chilometro da Forca di Presta, ricavata su un tratto ghiaioso del versante del monte (358092,3 E – 4739649,8 N; 1480 m.).
Duecento metri più a valle si nota l’inizio del canalone di salita.
Descrizione salita percorso fino alla cima del M. Vettoretto:
Dalla piazzola di parcheggio si sale il pendio per ampio evidente tratturo deviando al primo tornante verso il canale ghiaioso che sale a destra. (foto n.1; 358197,7 E- 4739800 N; 1490 m).
Oppure si scende a piedi per un centinaio di metri sulla carrozzabile (auto bianca nella foto n.1) dove si nota la fenditura che ha inciso la strada asfaltata e la si segue in salita verso il canale sovrastante (foto n.2).
Raggiunto il canale ci si innalza, senza itinerario tracciato, tenendosi nella sponda di sinistra più sicura da eventuali cadute di massi in quanto il pendio sovrastante è completamente erboso.
Già in questo tratto è visibile nel terreno erboso nella sponda di destra la profonda fenditura.
Risalendo il canale la fenditura si fa più netta nel terreno ghiaioso dove è presente pochissima vegetazione.
A tratti è possibile scendere all’interno del canale in particolare nei pressi di alcune placche rocciose dove la fenditura si fa molto più evidente e profonda.
Quindi si risale completamente il canale ed un successivo tratto erboso dove la fenditura scompare, in circa 1,5 ore dall’auto si raggiunge quindi una vecchia fontana apparentemente secca (aprire la valvola nel tombino a terra per avere acqua e farla scorrere per alcuni minuti) posta in un ripiano erboso (358085 E – 4740591 N; 1825 m).
5- 6 – Uno dei tratti più profondi ed evidenti, un dislivello di oltre 20 centimetri.
7-8 Risalendo il canale nel tratto più roccioso.
Dalla fontana per tracce di sentiero che sale in verticale nel sovrastante pendio erboso, in altri 15 minuti si raggiunge la sella e si intercetta il sentiero che sale da Forca di Presta verso il M. Vettore in corrispondenza della “Croce di Tito Zilioli” (357990,2 E – 4740941 N; 1960 m).
Risalendo il sentiero per il M. Vettore, dopo circa 30 metri dalla croce metallica si ritrova di nuovo, nella sua spaventosa spettacolarità, la fenditura nel terreno dove, in questo tratto, rende ancora più evidente lo spostamento di circa 20 centimetri in altezza delle due placche poste ai lati della faglia (foto n. 9).
Dalla croce di Zilioli per ampio sentiero si prosegue per altri 15 minuti fino alla cima del M. Vettoretto e volendo fino alla Forca delle Ciaole e Monte Vettore.
Qui termina il tratto di itinerario più sicuro e facile, per il ritorno all’auto si ripercorre lo stesso itinerario di salita.
Descrizione salita percorso integrale (ASSOLUTAMENTE DA NON EFFETTUARE IN QUESTO PERIODO con sciame sismico in atto) :
Dal ripiano del Monte Vettoretto anziché proseguire il sentiero per il Monte Vettore ci si sposta in lieve discesa sulla sinistra verso un canalino erboso fino a raggiungere la base della rocciosa cresta sud della Punta di Prato Pulito (357988,8 E – 4741212,3 N; 2010 m.).
Qui si ritrova la faglia che rappresenta la prima parte del cosiddetto “Cordone del Vettore” e che si fa sempre più evidente man mano che ci si avvicina allo Scoglio dell’Aquila che si nota molto più in avanti.
La traversata di questo tratto risulta impegnativa per la pendenza del terreno e la presenza di tratti erbosi alternati a ghiaioni, questo percorso è consigliato ad escursionisti esperti.
Costeggiando sempre la base del cambio di pendio, in circa 40 minuti si arriva alla base dell’imponente scoglio dell’Aquila, con le sue alte pareti di calcare massiccio punteggiate da diverse vie di roccia (visibili spit).
A quanto ci hanno riferito dei geologi UNICAM la fenditura alla base del Cordone del Vettore è visibile a tratti e percorre praticamente tutto il lungo versante ovest del massiccio fino all’altezza di Forca Viola.
Quindi sempre in piano costeggiando il “Cordone del Vettore” si superano i vari canali che scendono dal versante ovest della Cima del Redentore.
Successivamente il cordone si innalza fino a raggiungere un inciso canale denominato “La virgola” per il suo andamento sinuoso, questo tratto risulta faticoso ed impegnativo per la presenza di ghiaioni e roccette.
Quindi superato il canale la faglia si innalza e la si segue fino alla cresta tra il M. Quarto S. Lorenzo e la Cima dell’Osservatorio.
Dalla cresta si risale alla Cima del Redentore e quindi, sempre per cresta, si raggiunge la Cima del Lago, la Punta di Prato Pulito e quindi si scende al Rifugio Zilioli ed al M. Vettoretto per il classico sentiero chiudendo l’anello di salita.
Discesa:
Dalla cima del Monte Vettoretto per il sentiero si raggiunge la croce di Tito Zilioli e alla sella sottostante nel versante sud ci si immette nel pendio erboso dove è presente la fonte e quindi al canale sud di salita, in circa un’ora e mezza si raggiunge l’auto.
Variante:
Per evitare invece tutto il pericoloso Cordone del Vettore, in caso di scosse, è possibile traversare il pendio sud del massiccio montuoso 200 metri più in basso per il cosiddetto “sentiero delle fate” ormai in stato di totale abbandono e praticamente sconosciuto dalla bibliografia ufficiale dei Monti Sibillini.
Solo il primo tratto di tale sentiero è visibile ed è possibile prenderlo dall’inizio quando si è giunti alla sella poco prima della Croce di Tito Zilioli dove si nota, nel pendio sottostante, la traccia che attraversa la Valle Santa e prosegue nel pendio opposto tra la Punta di Prato Pulito e la Cima del Lago (foto n.14) dopodiché più avanti si perde tra l’erba per poi ritrovarsi a tratti oltre la verticale della Cima del Redentore.
Il sentiero corre pressoché in quota attraversando tutti i vari canali che scendono dalle cime soprastanti ed arriva a congiungersi con il sentiero che da Forca Viola sale al Quarto S. Lorenzo (foto n.15).
Quindi giunti alla cresta la si segue in direzione opposta raggiungendo la Cima del Redentore e scendendo per le classiche creste fino al Rifugio Zilioli ed al M. Vettoretto per “comodo” sentiero.
Quindi si riprende l’itinerario di discesa (canale di salita) per raggiungere l’auto.
14-15 Il versante sud (sopra) e ovest (sotto) della Cima del Redentore con i percorsi proposti.
GIANLUCA CARRADORINI – ANTONIO GALDI 3 SETTEMBRE 2016
CARTA SATELLITARE DEL PERCORSO CON:
GIALLO: Percorso di avvicinamento in auto
ROSSO: Percorsi proposti
VERDE: Percorso di discesa
NORCIA – M.VENTOSOLA Per la strada per Castelluccio
Questa volta propongo un nuovo itinerario escursionistico non faticoso anche se lungo ma sconvolgente, più che per la lunghezza complessiva di 19 chilometri e dislivello di 900 metri, per la possibilità di osservare la distruzione operata dal sisma del 30 ottobre 2016.
Salendo per la strada provinciale n. 477 che collega Norcia a Castelluccio, chiusa ovviamente al transito veicolare, si possono vedere immagini da film, strade contorte, spaccate, massi grandi come un’auto scesi a valle, frane e una immensa distruzione.
L’itinerario è stato realizzato in funzione della chiusura al traffico delle strade di avvicinamento a Castelluccio sia dal versante di Norcia che dal versante di Castelsantangelo sul Nera che di Montegallo.
Avvicinamento
L’itinerario proposto parte dalla frazione di San Pellegrino di Norcia che si raggiunge proseguendo dal capoluogo per la strada provinciale n. 476 in direzione di Savelli – Città Reale.
Si supera il cimitero e si supera il bivio a sinistra per Castelluccio (strada statale n.685), chiuso al traffico.
Proseguendo ancora per 50 metri si incontra, sempre a sinistra, il bivio per San Pellegrino.
Giunti poco prima del paese in gran parte distrutto dal sisma, si incontra una deviazione a sinistra che si trasforma in una stretta stradina che, quasi in piano, conduce in auto alla strada statale n.685 che sale per Castelluccio-Ascoli Piceno aperta solo in questo tratto.
Si continua a destra sulla strada e giunti al bivio si sale a sinistra in direzione Castelluccio (strada statale n.685 chiusa a destra per Ascoli Piceno in quanto la galleria che sbuca ad Arquata del Tronto ha subito danni) fino ad un incrocio che sale a sinistra da Grotti (altra frazione di Norcia), qui la strada è sbarrata e si lascia l’auto.
Salita
Dall’auto, per accorciare il tragitto, si prende un evidente e ampio tratturo che sale a destra nel bosco (348186 E – 4737490 N; 880 m.).
Dopo circa 400 metri si incontra una deviazione a sinistra che si ignora (348365,3 E – 4737160,5 N; 940 m.), dopo altri 600 metri ad un incrocio si devia a sinistra (348674,8 E – 4736696,2 N: 1050 m.), si continua per altri 100 metri fino ad una deviazione in salita verso destra e dopo circa 250 metri ad un incrocio (348922,5 E – 4736731 N; 1135 m) si prende a sinistra e in altri 200 metri (1 ora) si sbuca sulla strada Norcia-Castelluccio 200 metri più avanti di un grande ripetitore installato proprio a ridosso della strada (348770 E – 4737034 N; 1190 m.).
Nel giorno della salita in realtà è stata percorsa una variante; dopo circa 400 metri ad un incrocio si devia a sinistra, si continua per altri 600 metri sempre verso sinistra fino ad un bosco tagliato e ad un bivio.
Qui si può prendere o il tracciato che sale e si giunge alla strada soprastante più a monte oppure (itinerario più impegnativo) si prosegue per il tracciato più basso fino ad un canale con masso franato.
Dopo il canale il tracciato si trasforma in un esile sentiero per perdersi in corrispondenza di alcune radure erbose.
Dalle radure si sale in verticale ed in circa 100 metri si ritrova un tracciato che sale verso sinistra ed in breve sbuca sulla strada Norcia-Castelluccio (1,15 ore).
Si prosegue per la strada asfaltata fino a raggiungere un canalone molto inciso che forma una piccola forra, si prosegue e supera quindi un grande pilone di un ripetitore in corrispondenza del quale la strada è completamente distrutta .
La strada è in più punti completamente distrutta, franata e spaccata sia a monte che a valle come visibile nelle foto.
Itinerario comune alle due varianti.
Dal ripetitore si prosegue la strada per altri 1000 metri circa fino a raggiungere un secondo vallone caratterizzato da un canale ghiaioso (349733 E – 4736620 N.; 1270 m.; foto n.1).
Dal canale si sale nella sua sponda destra denominata Costa delle Cupaie (versante nord-ovest) per radure erbose e nuclei di faggi fino a raggiungere un canalino inciso sulla destra e quindi i prati sommitali nei pressi di una forcella rocciosa a quota 1480 m. (350184,2 E – 4736882,6 N; 1 ora).
Continuando la salita per pendii erbosi sulla sinistra si raggiunge la cima del Monte Ventòsola a quota 1718 metri dove si scopre il Piano Grande, Castelluccio e la parte meridionale della catena dei Monti Sibillini.
Portatevi un binocolo in quanto da questa posizione è possibile osservare le scarpate cosismiche aperte nel versante sud-ovest della Cima del Redentore, del Monte Vettoretto, del Monte Porche e del Monte Abuzzago dal sisma del 26-30 ottobre come visibile nelle foto 4-5-6-7.
Ritorno
Dal Monte Ventosola si consiglia di raggiungere il Rifugio Perugia ben visibile verso sud, scendendo dalla cima nella conca sottostante che conduce dapprima al fu Casaletto Onori distrutto (350970 E – 4736752,5 N; 1520 m.) e quindi direttamente al rifugio Perugia (351060,2 E – 4736456,4 N; 1490m.) fortemente danneggiato dal sisma.
Dal Rifugio Perugia si prende la strada statale n.477 che scende verso Norcia e la si percorre completamente anche per osservare la distruzione operata dal sisma soprattutto nel versante sud-est della Costa delle Cupaie dove da dei grandi torrioni rocciosi si sono staccati massi grandi come auto che hanno distrutto la strada.
Per accorciare il tracciato si può scendere per il percorso di salita riprendendo il tratturo che scende nel bosco 200 metri prima di raggiungere il ripetitore, è consigliabile lasciare un segnale sulla strada (freccia di sassi) per ritrovare il tracciato a causa del margine della strada franato in più punti.
Concludo questo itinerario con alcune immagini ravvicinate della seconda scarpata cosismica del Monte Vettoretto, ripresa da lontano nella foto n.5.
Il 30 dicembre 2016 abbiamo risalito di nuovo il canale sud del Monte Vettoretto descritto nel mio itinerario n.24 realizzato poche settimane dopo la scossa del 24 agosto 2016.
La scarpata cosismica di cui avevo riportato diverse immagini nell’itinerario indicato sopra non era che un graffio sulla superficie terrestre.
Il forte sisma della mattina del 30 ottobre ha creato una scarpata alta in alcuni tratti anche 70 centimetri davvero impressionante.
La zona, a causa delle strade chiuse, è stata raggiunta a piedi addirittura da Valle Orsara, frazione di Montegallo, raggiunta in auto da Balzo deviando per Corbara-Fonditore per evitare la zona rossa del centro storico di Balzo chiusa al traffico.
Dalla strada soprastante la frazione, chiusa al traffico veicolare, è stato raggiunto Passo Galluccio, quindi sempre su strada, Forca di Presta e poi siamo saliti alla Croce di Zilioli nel versante sud del Monte Vettoretto per l’itinerario indicato sopra, percorrendo complessivamente 22 chilometri e 1200 metri di dislivello.
La fatica ci ha ripagato con immagini incredibili e nello stesso tempo impressionanti.
Gianluca Carradorini , Serrani Fausto, Bartolazzi Bruno e Ciocchetti Stefano. Dicembre 2016
PRIMA USCITA POST TERREMOTO – IMMAGINI PRIMA E DOPO
A più di un mese di distanza dalle terribili scosse che hanno sconvolto le nostre zone abbiamo fatto una prima timida uscita in montagna fino al Pizzo Tre Vescovi per vedere un po’quanto è successo.
Questo che vi propongo non è, come al solito, un nuovo itinerario, ma è una raccolta di immagini prima e dopo sisma e contemporaneamente una riflessione di come 60 secondi possono cambiare la vita di noi abitanti delle zone montane e l’aspetto dei nostri monti.
Sui Monti Sibillini ho scritto tante avventure di giorni memorabili, felici e spensierati.
Sapevo ormai da 40 anni della pericolosità delle montagne, sono passato più volte vicino a luoghi di morte come nella strada del Fargno dove sono presenti due lapidi di sventurati che hanno trovato lassù la fine dei loro giorni, nell’alta Val di Panico nel luogo dove è morto Giancarlo Grassi, uno degli alpinisti più famosi d’Italia, ma mai avrei pensato un giorno di vivere una esperienza di distruzione di popoli e paesi così ampia a causa delle forze di sollevamento delle montagne.
Guardo le montagne con il solito timore e rispetto di luoghi impervi e pericolosi ma ora anche con il timore di luoghi spaventosamente distruttivi.
Personalmente ho pagato anche io il prezzo di vivere vicino alle montagne, il mio ufficio e laboratorio chimico distrutti e la mia casa, seppure ancora integra per fortuna, ma tra una desolazione di palazzi distrutti e disabitati. Quando ripercorrerò i miei monti li guarderò con occhi diversi, di chi li ha tanto amati ma di chi li teme ancor di più.
Nonostante le mie più di 900 uscite nei Monti Sibillini, sembra strano ma avevo tanti altri itinerari da inventare, scoprire e da far scoprire agli appassionati di montagna, ora sarà molto difficile anche immaginarli, lassù tutto è cambiato e non sarà più come prima.
Pensavo già al mio terzo libro: “1000 giorni nei Monti Sibillini” ; comunque, con lo spirito di chi va in montagna, sempre avanti senza mai fermarsi.
Vi avevo lasciato con le foto della scarpata di faglia cosismica prodotta con il terremoto del 24 agosto 2016 (foto n.1) nel canale sud del Monte Vettoretto, purtroppo quella spaccatura descritta e documentata in un mio itinerario non era che un piccolo graffio sulla crosta terrestre.
Dopo il 26 ottobre la scarpata si è ulteriormente abbassata ed una seconda si è aperta anche 200 metri più a valle della prima che corre sotto al cosiddetto “cordone del Vettore” alla base dello Scoglio dell’Aquila e ben più profonda ma ancora non siamo riusciti a raggiungerla e documentarla.
2 – 3 Grandi frane si sono formate un po’ dappertutto nei Monti Sibillini; qui siamo sulla strada che collega la Pintura di Bolognola al Rifugio del Fargno in corrispondenza dell’ultima faggeta.
4- Una volta da questo punto venivano giù solo grandi slavine !!
5- La Croce di Pizzo Tre Vescovi, che spettacolo che era con la prima nevicata autunnale !!!
Alla fine di questa terribile esperienza spero di poterci risentire in tempi migliori e magari con qualche bel nuovo itinerario.
Una ultima riflessione che ho trovato nella reception di un albergo di Alba Adriatica che ospitava terremotati senza casa di Marche e Lazio:
PIANGI, MEDITA, VIVI
UN DI’ LONTANO QUANDO SARAI DEL TUO FUTURO IN VETTA
QUESTO FIERO URAGANO SEMBRERA’ UNA NUVOLETTA
Gianluca Carradorini – Bruno Bartolazzi – Fausto Serrani Dicembre 2016