MONTE VENTOSOLA – PIANO GRANDE e le meraviglie della natura

I Piani di Castelluccio non solo donano la meraviglia della fioritura spontanea a Maggio e dei Campi coltivati a Luglio ma permettono di osservare un’altra meraviglia della natura, la perfezione delle ragnatele con la rugiada o con la brina del primo mattino che mettono in evidenza la geometria e le forme di queste incredibili costruzioni realizzate dai ragni.

Con la nebbia che si dirada si può anche osservare il raro spettacolo della Gloria Solare che in questo caso non forma il classico arcobaleno circolare ma si limita ad un arco che volteggia sopra ai Piani illuminati dal primo sole mattutino.

Terminata la visita al Piano Grande si può proseguire verso il Valico di Castelluccio dove si parcheggia, quindi si prosegue a piedi per l’evidente strada sterrata in direzione Ovest che coincide con il Grande Anello dei Sibillini, si raggiunge dapprima il passo tra Il Castellaccio e Monte Ventosola.

Quindi salendo il ripido pendio verso sinistra, facilmente in circa 30 minuti dall’auto, si raggiunge la cima del Monte Ventosola a quota 1718 m. dove si ammira un bel panorama di tutta la catena dei Monti Sibillini, dei Piani di Castelluccio e del Piano di Santa Scolastica di Norcia.

Di seguito le immagini della splendida giornata.

RAGNATELE BRINATE E CON LA RUGIADA

GLORIA SOLARE AL PIANO GRANDE

SALENDO VERSO IL VALICO DI CASTELLUCCIO

SALITA AL MONTE VENTOSOLA

1- 2- Il Monte Ventosola a sinistra e Il Castellaccio a destra.
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3- Il tratturo ormai ridotto ad una serie di solchi paralleli e senza alcun divieto di transito si dirige verso il Monte Ventosola a sinistra.
4- La Cima del Redentore, il Piano Grande e, a sinistra il Monte Castello, visti dalla cima del Monte Ventosola.
5- Il Monte Castello con lo sfondo del Pizzo Berro a sinistra ed il Monte Porche a destra.
6- Il Valico di Castelluccio da cui si parte per raggiungere il Monte Ventosola, nella curva della strada il Rifugio Perugia.
7- Veduta verso Nord-ovest dal Monte Ventosola dove emerge la sommità rocciosa del Monte Patino oggetto di recente itinerario.
8- Norcia emerge dalla nebbia che si dirada.
9- Le geometrie dei campi coltivati del Piano di Santa Scolastica di Norcia.
10- Il Piano Grande e Castelluccio
11- Arte moderna sul valico tra Il Castellaccio e Monte Ventosola, nessuno che rimuove questi pericolosi grovigli.
12- Le pendici del Monte Cappelletta con le faggete che degradano verso il Piano Grande
13- Cavalli al pascolo nel Piano Grande.
14 – Sorbo montano in versione autunnale.
15- Sorbo montano, sullo sfondo lo Scoglio dell’Aquila.
16- Acero in versione autunnale con il Monte Cardosa di fianco
17- Faggio in versione autunnale con il Monte Cardosa.



MONTE PATINO E MONTE DELLE ROSE Da Castelluccio

Su richiesta di alcuni lettori che giustamente mi rimproverano di descrivere nel sito itinerari sempre piuttosto impegnativi, stavolta propongo un percorso ad anello facile, adatto a tutti anche se lungo 15 chilometri ma con soli 450 metri di dislivello.

Il percorso ad anello non è indicato nella bibliografia ufficiale dei Monti Sibillini.

ACCESSO: L’itinerario prevede la partenza dalla Piazza di Castelluccio (1432 m.) dove si parcheggia l’auto e permette di raggiungere come altezza massima il Monte delle Rose e il Monte Patino, con ritorno per la parte superiore della Val Canatra.

SALITA: Dalla Piazza di Castelluccio si prende la strada sterrata che sale nel versante Est del Monte Veletta, verso sinistra, sopra al Cimitero, e che conduce al punto di decollo dei parapendii. Raggiunte le pendici Sud di Poggio di Croce, nei pressi delle Coste i Forconi dove è presente la manica a vento del punto di decollo dei parapendii si prosegue la strada fino ad arrivare al pianoro di quota 1800 metri dove la sterrata si snoda in direzione Nord-ovest (foto n.8).

Si prosegue la sterrata deviando per sentiero (foto n.11) verso sinistra in direzione di Forca di Giuda (1794 m.) dove si raggiunge la cresta del Monte delle Rose che si risale fino alla cima (1887 m.).

Dal Monte delle Rose, dove paradossalmente non c’è neppure una pianta di rose selvatiche, si prosegue in discesa fino alla sella e si risale la cresta rocciosa verso la grande croce di Monte Patino (1883 m.).

DISCESA: Dal Monte Patino si ritorna indietro alla sella tra il Monte delle Rose e si taglia il versante Nord-ovest e successivamente quello Nord per comodo sentiero in quota che attraversa anche un vasto mirtilleto fruttificante, piuttosto raro a queste quote (foto n.22-23).

Giunti di nuovo alla Forca di Giuda si riprende la sterrata percorsa in salita fino al pianoro di quota 1800 m. e si prosegue verso Sud-est

Qui, giunti ad una deviazione si prosegue il tratturo di sinistra (foto n. 25) che si inoltra verso la valletta nella zona denominata Coste i Valloni attraversando vetusti lembi di faggeta (foto n. 29-30). Il tratturo gira nella valletta e percorre le in direzione Nord le pendici di Colle Bernardo, nella parte superiore di Valle Canatra, (foto n.33) per cambiare di nuovo direzione dirigendosi verso Est verso Coste le Prata (foto n.35) per congiungersi con la strada sterrata percorsa in salita nei pressi di Monte Veletta da cui in breve si raggiunge Castelluccio chiudendo così il percorso ad anello.

Oppure si può decidere di scendere per la bellissima Valle Canatra, una volta raggiunta la zona Coste i Valloni anziché proseguire il tratturo si scende direttamente nella valletta boscosa sottostante su traccia di sentiero, dapprima stretta poi man mano si allarga e gira verso destra da cui si apre la vista verso il Pian Perduto, fino a scendere alla Fonte Valle di Canatra.

Dalla grande fontana si sale lievemente al margine del bosco sulla destra e si prende un tratturo che conduce direttamente all’abitato di Castelluccio.

1- Nebbia mattutina al Pian Perduto, sullo sfondo il Monte Porche e il Monte Palazzo Borghese.
2- Nebbia al Piano Grande
3- Veduta aerea del Paino Grande con i Monti della Laga sullo sfondo.
4- Il sole sorge dalla Cima del Redentore
5- Lentamente il Piano Grande viene illuminato da sole.
6- Bellissima pianta di Astragalus sempervirens ai lati della strada nel versante est del Monte Veletta
7- Il Monte Castello e, a destra, il Monte Ventosola
8- Il pianoro ad Ovest del Poggio di Croce con i Monte Patino a sinistra e il Monte delle Rose al centro.
9- Veduta di Camerino dal Monte delle Rose, a destra il Monte San Vicino.
10- Il Monte Lieto visto dal Monte delle Rose.
11- La sterrata che si snoda verso il Monte delle Rose, in alto si nota a sinistra il sentiero per Forca di Giuda.
12- Veduta dal Monte delle Rose del versante Ovest dei Monti Sibillini, dalla Croce di Monte Rotondo a sinistra fino al Monte Argentella a destra.
13- Veduta dal Monte delle Rose del versante Ovest dei Monti Sibillini, dal Monte Porche a sinistra fino alla Cima del Redentore a destra.
14- Il Monte delle Rose e, a sinistra, il Monte Patino con la grande croce.
15- Il Monte Patino.
16- Veduta verso Nord con le cime arrotondate del Monte Fausole, Monte Colventoso, Monte Prata e Monte La Bandita con il Monte Cardosa che svetta sullo sfondo.
17- L’ultimo tratto di cresta rocciosa del Monte Patino.
18- La Valle di Patino con la Montagna Fusconi.
19- Veduta di Norcia e del Piano di Santa Scolastica dal Monte Patino.
20- L’enorme croce del Monte Patino.
21- Affioramenti ad Ossidi di Ferro lungo il sentiero per il Monte Patino.
22-23- Rarissimo mirtilleto fruttificante a quota 1700 metri nel versante Nord del Monte delle Rose.
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24- Colchicum alpinum con due lepidotteri
25- La sterrata che scende a Castelluccio passando le le Coste I Valloni.
26- La sterrata della foto n.25 che si inoltra in bellissime e vetuste faggete è percorsa dal Sentiero Italia,
27- Nella vetusta faggeta delle Coste I Valloni sono presenti grandi formazioni del raro lichene Lobaria pulmonata.
28- Vecchia ceppaia di Faggio con enormi radici.
29-30- La sterrata che serpeggia verso le Coste I Valloni.
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30- Strane formazioni rocciose assomiglianti a dei Menhir nella Costa I Valloni.
31- Un Sorbus aucuparia è cresciuto stranamente all’interno di un tronco cavo di Faggio
32- Il lungo fusto del Sorbus aucuparia della foto n.31 percorre tutto il tronco cavo del Faggio che lo ospita, fino al terreno.
33- La sterrata curva sopra Colle Bernardo, sopra la Valle Canatra, per dirigersi verso Coste Le Prata, sullo sfondo il Monte Lieto..
34- La Valle Canatra con il Pian Perduto e i boschi del San Lorenzo sullo sfondo, sotto al Monte Porche.
35- il Pianoro sotto Coste Le Prata
36- Veduta di Castelluccio e della Cima del Redentore dalla strada sotto a Monte Veletta.
37- I campi coltivati del Piano Grande in versione di fine estate.
38- Ragnatela nel bosco di Coste I Valloni.
39- Il 2 gennaio 2023, in assenza ancora di neve, abbiamo ripercorso l’itinerario e, tra le rocce del versante Sud del Monte Patino, abbiamo ritrovato dei resti di un Camoscio, corna e pelo, visibile più in alto e diverse ossa sparse.
40- La cima del Monte Patino
41- La Valle Canatra
42- La Fonte di Valle Canatra con il Piano Grande sulla sinistra, sulla destra al margine del bosco c’è il tratturo per Castelluccio.
43- Il versante Sud del Monte Lieto con il canale di salita, tra luce ed ombra, descritto in un altro itinerario.
39- Pianta satellitare del percorso proposto ROSSO: Itinerario di salita GIALLO: Itinerario di discesa.



MONTE LIETO – DIRETTISSIMA

Il pomeriggio successivo all’escursione al Monte Castel Manardo, approfittando delle limpide giornate, ho salito di pomeriggio il ripido canale che si apre nel versante Est del Monte Lieto, nella Val Canatra.

L’escursione è breve, può essere fatta in mezza giornata, non presenta difficoltà ma è piuttosto ripida, in soli 2,2 km di salita si effettuano ben 650 metri di dislivello.

ACCESSO: Si raggiunge con l’auto il Pian Perduto salendo da Castelsantangelo sul Nera, si prosegue in direzione di Castelluccio e una volta arrivati all’imbocco della Val Canatra si parcheggia nello slargo della strada.

SALITA: Dallo slargo della strada si risale la Val Canatra per traccia di tratturo. Giunti alla base del canalone Est del Monte Lieto ci si dirige verso l’intaglio che esso forma nel versante della montagna.

Si risale all’interno del canale superando alcune facili formazioni rocciose alternate ad erba e massi fino ai più ripidi pianori sommitali, in 1,5 ore dall’auto si raggiunge la cima di Monte Lieto (1940 m.).

DISCESA: Si ritorna all’auto visibile dalla cima percorrendo il pendio erboso al lato sinistro (in discesa) del canale stesso senza tracciato.

1- Il canale Est del Monte Lieto visto dalla strada del Pian Perduto, all’imbocco della Val Canatra.
2- La prima parte del canale meno ripida.
3- Fase di salita del canale e la strada per Castelluccio con la mia auto nello slargo in alto a sinistra.
4 – 5 – Il fondo del canale con erba e tracci rocciosi.
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6- La Cima del Redentore vista dalla parte mediana del canale.
7- L’ultimo tratto ripido del canale con roccette prima dei pendii erbosi sommitali.
8 – Le rocce al lato del canale che formano una piccola grotta, al lato il Monte Porche e il Monte Palazzo Borghese
9- La grotticella vista dal lato destro.
10- I facili risalti rocciosi finali.
11- Tutto il canale visto dall’inizio del pendio erboso sommitale.
12- Il Monte Porche, Monte Palazzo Borghese e Monte Argentella con il pendio di discesa con pendenza costante di 40°.
13- Veduta dalla cima di Monte Lieto verso il gruppo Nord dei Monti Sibillini da sinistra la Croce di Monte Rotondo, La Croce di Monte Bove , il Monte Bove Nord, il Monte Bove Sud, Pizzo Berro, Pizzo Regina e la Cima di Vallinfante.
14- Veduta dalla cima di Monte Lieto, da sinistra il Monte Bove Sud, Pizzo Berro, Pizzo Regina e la Cima di Vallinfante, Cima Vallelunga, Monte Porche e Monte Palazzo Borghese.
15- Veduta dalla cima di Monte Lieto, da sinistra il Monte Argentella, Forca Viola, Cima di Forca Viola, Quarto San Lorenzo, Cima dell’Osservatorio, Cima del Redentore e Cima del Lago con il sottostante Scoglio dell’Aquila.
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16- Veduta dalla cima di Monte Lieto verso Castelluccio.,
17- Veduta dalla cima di Monte Lieto verso il Piano Grande, Monte Macchialta e Monte Guaidone con i Monti della Laga sullo sfondo.,
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18- Veduta dalla cima di Monte Lieto verso il Monte delle Rose e Monte Patino.
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19- Veduta dalla cima di Monte Lieto verso il Monte Cardosa.
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20- Veduta dalla cima di Monte Lieto verso Camerino,
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21- Il canale di salita visto durante la discesa nel pendio erboso al lato sinistro.
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22- La parte iniziale del canale di salita visto da Castelluccio
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23- La parte mediana del canale di salita.
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24- La parte finale del canale di salita.
25- Il canale Est di salita al Monte Lieto
26- Pianta satellitare del percorso proposto ROSSO: Itinerario di salita GIALLO: itinerario di discesa



MONTE CASTEL MANARDO risalita completa della cresta Est e discesa per la cresta Nord.

Approfittando di due pomeriggi consecutivi di cielo limpido, che non accadeva da Aprile, ho effettuato due salite brevi ma inedite e di rilevante dislivello nel breve tempo che richiedono.

La prima, la presente che descrivo, è un percorso ad anello che coinvolge le due creste parallele del Monte Castel Manardo, la est in salita, inedita, e la nord classica in discesa, con un dislivello totale di 600 metri in soli tre chilometri di tragitto, effettuati in meno di un’ora e 30 minuti in sola salita.

La salita è adatta a tutti e non presenta difficoltà, può essere effettuata in mezza giornata oppure prolungata scendendo a Forcella Bassete e ritornando indietro per la strada Pintura-Casale Grascette-Casale Bassete-Casale Rinaldi.

ACCESSO: L’itinerario prevede il raggiungimento in auto alla Pintura di Bolognola e si prosegue per la strada sterrata, a destra del Ristorante La Capanna, che conduce a Garulla. Si prosegue nella faggeta per circa un chilometro e, appena essa si dirada ed inizia un tratto con pini ed abeti di rimboschimento, si parcheggia, in corrispondenza di un cartello triangolare di rischio caduta massi, dove, sulla scarpata, sale una traccia di sentiero. (357831,7 E – 4760236,7 N; 1320 m.; foto n.1).

SALITA: Dalla scarpata si sale sulla traccia di sentiero che si dirige verso un costone erboso, nella zona denominata Rocchette, dove si cambia subito versante (foto n.2) , il sentiero, allargato e sdoppiato dal passaggio di bovini al pascolo estivo, costeggia il bosco sottostante conducendo, in circa 10 minuti, alla base di torrioni rocciosi (358362,4 E – 4760271,8 N; 1435 m.; foto n. 5-6), su superano alcuni ripidi canaloni (foto n. 8-9) per poi proseguire verso prati più aperti, in altri circa 20 minuti si raggiunge la cresta Est, in corrispondenza di quello che in alcune cartografie viene indicato come Pizzo di Monte Berro (358671,5 E – 4760397,6 N; 1485 m.; foto n. 10) dove si cambia versante e si scopre il Monte Amandola.

Si sale la meno ripida cresta erbosa che sale verso destra per altri 15 minuti fino a raggiungere il Monte Berro (358358,7 E – 4759986 N; foto n.13-14; 1608 m.) dove si intercetta la strada sterrata Pintura di Bolognola-Casale Grascette-Casale Bassete-Casale Rinaldi.

N.B. Recentemente sui social ho visto un video dove, da alcuni non ben identificati soggetti, veniva raggiunta la cima del Monte Berro con la neve, passando appunto dalla strada indicata, chiamandola Cima Venosa anziché con il vero nome riportato su tutte le carte topografiche dei Monti Sibillini.

Faccio notare che anche in precedenza avevo indicato che altre cime dei Monti Sibillini erano state contrassegnate con tanto di pennarello sulle pietre, di nomi di fantasia senza alcuna base storica o toponomastica (Pizzo Pae, Cima Felix)

Io vorrei sapere anzitutto dove questi strani soggetti hanno trovato questo nome, non esiste ne sulle carte ne sulla bibliografia, non ha alcun riferimento alla zona, è un puro e cretino nome di fantasia e non capisco come la gente si permetta, sui social, di attribuire nomi di fantasia a luoghi che invece hanno nomi centenari se non millenari, riportati su libri o cartografie, del resto mancando del tutto la segnaletica sul posto è chiaro che ognuno di senta padrone di assegnare il nome che vuole ad una cima come se fosse il primo ad averla raggiunta.

L’adeguata e indiscutibile segnaletica sembra non esistere nei Monti Sibillini, al contrario, come ho dimostrato in recenti reportage, di quanto accade in altri Parchi dell’Italia Centrale.

Una volta raggiunta la strada sterrata si prosegue la cresta erbosa (foto n. 18-19) soprastante in corrispondenza della curva di cambio di versante, senza tracciato, dapprima in lieve salita quindi si innalza e si inizia ad incontrare delle piccole trincee parallele prodotte probabilmente da vecchi terremoti. In circa 20 minuti dalla strada si raggiunge una piccola trincea dove si apre un buco di 30 centimetri di diametro (foto n.20) che non avevo mai notato prima (Vedasi l’articolo IL BUCO DI MONTE BERRO 15 Giugno 2020), dopo altri 30 metri di raggiunge una più profonda trincea dove si nota nel suo margine destro il Buco di Monte Berro, un pozzo largo circa 50 centimetri che si inoltra nelle viscere della montagna (foto n.21; 357911 E – 4759404 N; 1780 m) .

Dal Buco si prosegue la salita in cresta fino ad una paretina rocciosa che si risale a sinistra e in breve ad intercettare una vecchia strada che conduce alla Fonte Gorga, a circa 450 metri sulla destra, dove è presente una captazione con il tetto sfondato ed un fontanile che, ormai anch’esso come molte altre fonti dopo il terremoto del 2016, non porta più acqua ma la zona comunque è piena di piccole vene di acqua (357238,3 E – 4759171,4 N; 1845 m).

Dalla Fonte o anche dal pendio erboso prima, si risale in direzione sud-ovest per prati fino alla cima del Monte Castel Manardo (1917 m.) contrassegnata da un palo con vernice bianco/rossa (15 minuti dal Buco).

DISCESA: Dalla cima del Monte Castel Manardo si ridiscende in poco più di un’ora per l’itinerario classico (usato normalmente in salita) passante per la cresta Nord , la Porta di Berro e i Campi da Sci di Bolognola, già indicato su altri itinerari del presente sito.

Una volta raggiunti gli impianti, anziché prendere la strada sterrata che proviene da M. Berro, intercettata in salita e che conduce alla Pintura di Bolognola, si continua a scendere lungo le piste da sci verso destra, fino allo skilift “Pintura 2” situato sulla strada Pintura di Bolognola-Garulla da dove si è partiti. Giunti sul prato sovrastante la cabina di trasformazione dell’impianto di risalita anziché scendere e prendere la strada sterrata percorsa con l’auto si segue un sentiero (foto n. 39) che costeggia il bosco a destra per poi ridiscendere sulla strada 400 metri prima dell’auto chiudendo così il percorso ad anello.

1- Il punto di partenza dalla strada Pintura di Bolognola – Garulla.
2- Il prato con il punto di cambio versante ed il sentiero che costeggia il bosco.
3- L’abitato della Pintura di Bolognola visto dal sentiero della cresta Est del Monte Castel Manardo.
4- Il pendio erboso prima dei torrioni rocciosi.
5- Il sentiero prosegue verso le rocce.
6- Il passaggio sotto ai torrioni rocciosi.
7- La Valle Tre Santi sottostante.
8 – 9- Il passaggio nei ripidi canaloni erbosi prima della cesta Est.
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10- La cresta Est del Monte Castel Manardo nel punto denominato Pizzo di Monte Berro dove si scopre il Monte Amandola.
11-I ripidi canaloni della foto n. 8 visti in salita dalla cresta sovrastante.
12- I ripidi pendii della foto n. 9 visti in salita dalla cresta sovrastante con il Pizzo di Monte Berro a destra. dove termina la traccia del sentiero in salita.
13- Il Monte Berro dove si intercetta la strada Pintura di Bolognola-Casale Grascette-Casale Bassete-Casale Rinaldi
14- Fantastica veduta fino al mare dal Monte Berro, in una giornata limpida che non si vedeva da molti mesi.
15- La cresta Nord di Monte Castel Manardo usata per la discesa, vista dalla cresta Est, sullo sfondo il Monte Rotondo.
16- La cresta Est di salita molto al di sopra della strada Pintura di Bolognola-Casale Grascette.
17- Veduta verso Nord con la strada sottostante ed il dosso erboso più verde di salita.
18- La cresta di discesa con tutto il versante del Nord del Monte Castel Manardo.
19- Il primo Buco, che non avevo mai trovato prima.
20- Il Buco di Berro.
21- Il tubo dell’acqua dell’abbeveratoio dello stazzo vicino a Monte Berro che scende da Fonte Gorga, passa sospeso in aria proprio nella trincea dove si apre il Buco di Berro.
22- Una lunga trincea poso sotto al tratturo per fonte Gorga, a destra la Pintura di Bolognola.
23- Il tratturo per Fonte Gorga.
24- Zoom verso il mare con una nave all’orizzonte.
25- Zoom verso il Monte Conero.
25- Il Monte San Vicino a destra e addirittura il Monte Titano a San Marino a sinistra.
26- La cresta Nord di discesa con il Monte Cacamillo sullo sfondo.
27- Il Pizzo Regina visto dalla cima del Monte Castel Manardo.
28- Il Pizzo Berro ed il Casale Rinaldi a destra sotto alla parete Nord.
29- Il Pizzo Tre vescovi ed il Monte Acuto.
30- Il Monte Sibilla e la cima del Monte Vettore a destra.
31. Il Monte dell’Ascensione.
32- La prima parte della salita della cresta Est
33- La seconda parte della salita della cresta Est
34- La parte finale della salita della cresta Est
35- La salita vista dalla Pintura di Bolognola
36- La cresta Nord di discesa sopra alla Porta di Berro.
37- La cresta Nord verso la cima del Monte Castel Manardo.
38- Il tratto di strada della foto n.1 dove si parcheggia ed inizia il tracciato proposto, visto dalla Porta di Berro durante la discesa..
39- Il sentiero sopra la bosco che permette di raggiungere l’auto senza passare sulla strada sterrata.
40- Pianta satellitare del percorso proposto: PERCORSO ROSSO: Salita PERCORSO GIALLO: Discesa



MONTE ARGENTELLA – Nel cuore della grande e selvaggia parete Est – Grotte del Fosso dell’Argentella.

Un giorno il nostro amico Paolo Petrini, recentemente scomparso, definì il nostro modo di realizzare alcuni nuovi itinerari estivi (come molti riportati nelle mie pubblicazioni e nel presente sito) come un Escursionismo Estremo Esplorativo che può essere definito dalla sigla EEE in quanto non si effettua una vera e propria salita alpinistica ma non può essere neppure paragonato ad una escursione impegnativa e con difficoltà alpinistiche come definita dalla sigla EEA.

E’ un modo diverso, alternativo di vivere la montagna che si pone tra queste due forme di attività sportiva ma che ovviamente è destinato esclusivamente a persone esperte che sappiano affrontare itinerari EEA e che, lentamente e con cautela, si spingono oltre questo limite delle escursioni e che hanno anche le basi dell’alpinismo classico per saper affrontare salite o discese su roccia applicando tecniche alpinistiche.

Questo itinerario è uno di quelli che si possono definire EEE perché si svolge in un ambiente grandioso, selvaggio, senza alcun sentiero, su terreno ripidissimo e senza alcuna indicazione su bibliografia, dove abbiamo applicato conoscenze di alpinismo nella progressione e su calate in corda doppia, neppure gli anziani della zona sono riusciti a darci indicazioni precise e non sapevano dell’esistenza di tre grotte menzionate invece in modo impreciso nel Catasto delle Grotte della Regione Marche forse a causa delle difficoltà di ricezione del segnale GPS all’interno del Fosso, per questo motivo anche io non ho potuto inserire le coordinate precise delle cavità .

Siamo quindi saliti in esplorazione, abbiamo trovato le tre grotte indicate ed un passaggio per esplorare e salire la grande e selvaggia parete Est del Monte Argentella.

Il canale dell’Argentella che esce poco più a destra della cima, d’inverno, è invece una impegnativa e lunga salita alpinistica su ghiaccio menzionata nel libro GHIACCIO D’APPENNINO di Cristiano Iurisci (Canale d’Argento, già salito nel 1983 e addirittura disceso con gli sci nel 2000).

La cresta Nord posta tra il Canale dell’Argentella ed il Fosso Mozzacarne è risalita da un itinerario EEA già riportato in bibliografia che inizia dal Piano della Gardosa e raggiunge la cima del M.Argentella.

Mentre la cresta Est è stata risalita da noi in un itinerario anch’esso EEA descritto a pagina 72 del mio libro “IL FASCINO DEI MONTI SIBILLINI”.

ACCESSO: Il versante Est del Monte Argentella si raggiunge da Foce di Montemonaco. Si parcheggia l’auto alla fine del paesino (il proseguimento con auto verso il Piano della Gardosa è vietato !!!) e si continua la strada sterrata a piedi che conduce verso il Lago di Pilato.

DESCRIZIONE: Si percorre tutto il Piano della Gardosa (20 minuti) fino ad arrivare sulla verticale del Fosso dell’Argentella. Nel prato a destra della strada si nota un tratturo (358040,3 E – 4746606,4 N; 1120 m.) che sale dritto verso il fosso e che veniva usato per prelevare gli alberi abbattuti dalle slavine invernali. Si prende il tratturo e si risale faticosamente il ripido pendio che attualmente presenta numerosi arbusti che obbligano molte deviazioni. Dopo circa 30 minuti di salita dalla strada si raggiunge, sulla sinistra, un alto sperone roccioso oltre il quale il canale si biforca.

Si traversa verso sinistra per raggiungere la base del torrione dove si apre una prima cavità poco profonda ma caratterizzata da una volta perfettamente circolare, che, secondo il Catasto delle Grotte della Regione Marche dovrebbe essere identificata come la “Caverna nel Fosso dell’Argentella” (foto n. 2-3; 357587,7 E – 4746807,3 N; 1350 m.).

Si prosegue la cengia di sinistra che corre alla base dei torrioni rocciosi e che prosegue dalla prima grotta, dopo 100 metri si risale un po’ e si raggiunge una grande caverna, alta almeno 4 metri e profonda una decina che secondo il Catasto delle Grotte della Regione Marche dovrebbe essere identificata come la “Caverna presso il Fosso dell’Argentella” (foto n. 4-5-6-7, coordinate imprecise).

Si ritorna indietro e si riprende il Fosso dell’Argentella che, poco più a monte dello sperone roccioso si divide in due rami. Il ramo sinistro (in salita) si presenta ripidissimo e caratterizzato da saltini rocciosi e massi instabili (foto n.10) che non permettono la sua risalita. Il ramo destro (in salita) si presenta caratterizzato da un fondo erboso anche se molto ripido (foto n.11).

Qui abbiamo salito in esplorazione questo ramo del canale dove la sponda destra rappresenta la cresta che si percorre nell’itinerario EEA già riportato in bibliografia che dal Piano della Gardosa raggiunge la cima del M.Argentella risalendo appunto la cresta Nord dell’Abbandonata posta tra il Canale dell’Argentella ed il Fosso Mozzacarne (indicato nella pianta satellitare n. 47 e 49, foto n. 1A-17A ).

Si risale il canale fino al suo termine (357545 E – 4746947,5 N; 1435 m.) dove delle rocce obbligano a deviare verso sinistra risalendo un ripido pendio erboso e dirigendosi sempre verso sinistra in direzione dell’altro ramo parallelo del canale traversando su terreno molto ripido dove è consigliato l’uso di una piccozza (30 minuti; foto n.13-14-16).

Si superano due valloni erbosi con isolati alberi fino a raggiungere la sponda del ramo sinistro del Fosso (foto n. 19-20-21-22).

Qui dapprima la ripidità del Fosso e le incombenti stratificazioni di rocce sovrastanti sembrano precludere il proseguimento invece salendo in verticale la sponda destra (in salita) del Fosso fino alla base delle rocce ( 357311,6 E – 4746822,1 N; 1550 m.) si nota, con estremo stupore, una lieve traccia di un vecchio passaggio che taglia in quota il ripidissimo pendio destro del Fosso per entrare in esso e raggiungere così il cuore della parete Est del M. Argentella (foto n.28-29-30-31).

Si entra quindi nel canale caratterizzato da un fondo detritico e pareti rocciose laterali fino ad una grande stratificazione oltre la quale le sovrastanti pareti verticali impediscono la risalita (20 minuti).

Secondo anziani della zona il tracciato dovrebbe proseguire verso la sommità della Ripa Grande situata sulla sinistra del Fosso ma non abbiamo trovato traccia ne possibilità di traversata nonostante le nostre ricerche.

Dal cuore della grande parete Est del M. Argentella abbiamo visto però la possibilità di raggiungere la sovrastante zona denominata “l’Abbandonata” risalendo in diagonale verso destra i ripidissimi prati alternati da caratteristiche lunghe fasce rocciose affioranti facilmente superabili fino ad uscire sulla cresta Nord del Monte Argentella posta appunto tra il Fosso dell’Argentella ed il Fosso Mozzacarne e raggiungere la cima seguendo l’itinerario già menzionato riportato in bibliografia e che abbiamo percorso anni fa.

Per motivi di tempo e per la minaccia di temporali pomeridiani la nostra esplorazione è proseguita ancora per un centinaio di metri di quota ma poi si è fermata qui ma ciò non toglie che la porteremo a termine in altra occasione.

Durante la discesa effettuata per lo stesso itinerario di salita siamo ritornati di nuovo alla confluenza dei due rami del Fosso dell’Argentella e abbiamo quindi ricercato la terza cavità indicata nella zona, costeggiando il bosco alla destra del canale (in discesa, a valle delle prime grotte raggiunte) siamo passati sotto ad una grande parete franata quindi costeggiato in discesa uno sperone roccioso ed infine abbiamo risalito in cordata un ripidissimo canale boscoso devastato dalle frane del terremoto del 2016 fino al suo termine dove, sotto alla parete rocciosa, abbiamo ritrovato la terza piccola cavità che secondo il Catasto delle Grotte della Regione Marche dovrebbe essere identificata come il “Buco del Fosso dell’Argentella” (foto n.38-39-40-41-42; 357707,6 E – 4746626,7 N approssimate per difficoltà di ricezione GPS, 1295 m:).

Dalla cavità, per facilitare la discesa su questo tratto ripidissimo e pieno di ostacoli (massi, arbusti e alberi abbattuti) siamo scesi in corda doppia facendo sosta su alberi per poi raggiungere il tratto boscoso iniziale del canale fino al prato da dove siamo risaliti e ritornare quindi a Foce per il Piano della Gardosa (foto n. 45-46).

1- Il primo tratto del Fosso dell’Argentella prima del suo sdoppiamento, in basso la strada del Piano della Gardosa
2- Lo sperone roccioso oltre il quale il canale si sdoppia, a sinistra la prima cavità raggiunta (Ph. Valerio).
3- La prima cavità che secondo il Catasto delle Grotte della Regione Marche dovrebbe essere identificata come la “Caverna nel Fosso dell’Argentella”, poco profonda ma caratterizzata da una perfetta volta circolare.
4-5 – La seconda grotta più a sinistra della prima e più ampia che secondo il Catasto delle Grotte della Regione Marche dovrebbe essere identificata come la “Caverna presso il Fosso dell’Argentella”
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6-7 – veduta dall’interno della grotta.
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8- Lasciamo la cengia che forma le due grotte per proseguire la salita del Fosso dell’Argentella.
9- Al lato sinistro della cengia domina la parete Est della Ripa Grande.
10- Il ramo sinistro (in salita) del Fosso dell’Argentella caratterizzato da salti rocciosi e massi instabili che impediscono la salita in sicurezza.
11- Proseguiamo per il ramo destro (in salita) erboso anche se molto ripido, di fronte la cresta Ovest del Monte Torrone (già oggetto di salita descritta nel mio sito) e la zona de Le Svolte sul sentiero per il Lago di Pilato.
12- Risaliamo ancora nel canale mantenendoci sulla sinistra.
13- Siamo giunti al termine del ramo destro, ormai si devono risalire i ripidissimi pendii erbosi con roccette affioranti che si vedono di fronte, in alto a sinistra la cima del M. Argentella.
14- Foto n. 13 vista dall’albero sovrastante nello spigolo destro.
15- La Ripa Grande in primo piano ed il M.Torrone e l’Antecima Nord del M. Vettore sullo sfondo (Ph. Valerio).
16- Il pendio di risalita sopra al ramo destro del Fosso dell’Argentella.
18- Bellissima immagine di Valerio che racchiude il senso dell’amicizia e della passione per la montagna che ci accomuna.
19- Fasi di risalita del primo vallone verso il cuore della parete Est (Ph. Valerio).
20- In alto la cima del M.Argentella (Ph. Valerio).
21- Grandi placche rocciose caratterizzano il Fosso dell’Argentella.
22- Ci apprestiamo ad affrontare il secondo vallone per raggiungere il cuore della parete.
23- Sopra le nostre teste la zona denominata “L’abbandonata” che dice tutto, con le lunghe fasce rocciose affioranti e dove è possibile una risalita a destra dello spuntone, fino alla cresta sovrastante già risalita anni fa.
24- La ripidità del pendio a 45° costanti e, di fronte, la cresta Est che risale tra il Fosso dell’Argentella ed il Fosso Mozzacarne, situato oltre la cresta,
25- Raggiungiamo così la sponda destra 8in salita del Fosso dell’Argentella.
26- Il Monte Banditello e la Cima delle Prata visti dal Fosso dell’Argentella.
27- Guardiamo titubanti il pendio sovrastante che, all’apparenza, non offre possibilità di proseguimento poi, raggiungendo il ginepro a destra, si scopre una vecchia lieve traccia che entra nel fosso.
28-29-30-31- Iniziamo la traversata su terreno ripidissimo che ci ricorda il Fosso La Foce.
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30 – (Ph. Valerio).
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32-33 – Ed entriamo nel Fosso, in un luogo magico nel cuore della grande Parete (Ph. Valerio).
33- In alto la cima del M. Argentella (Ph. Valerio).
34- Le sovrastanti pareti impediscono dentro al Fosso una sicura prosecuzione estiva.
35- Per cui decidiamo di ridiscendere, anche per il sopraggiungere della nebbia in quota che poi alle 14 scenderà fino a circa 1300 metri di quota.
36- La sommità della Ripa Grande che, secondo un anziano della zona, si può raggiungere da questo versante, ritorneremo !!!.
37- Le condizioni di traversata nel bosco della parte destra (in discesa) del Fosso dell’Argentella per ricercare l’ultima cavità di cui abbiamo notizia, in questo tratto le frane prodotte dal terremoto del 2016 hanno devastato il bosco lasciando integro questo altissimo Faggio.
38-39 – Quindi con una arrampicata di sicurezza in un tratto di bosco distrutto dalle frane raggiungiamo la terza cavità.
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40- La friabilissima parete che forma la terza cavità che secondo il Catasto delle Grotte della Regione Marche dovrebbe essere identificata come il “Buco del Fosso dell’Argentella”
41-42 – La piccola e bassa ma profonda cavità raggiunta (Ph. Valerio).
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43- Veduta dall’interno del “Buco”.
44- Il Piano della Gardosa con tende di Scout visto dalla terza cavità.
45-46 – Approntiamo una serie di corde doppie per agevolare la discesa su terreno sconnesso.
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IMMAGINI DELLA SALITA DELLA CRESTA NORD DAL PIANO DELLA GARDOSA Luglio 2013 insieme al nostro amico Bruno (Itinerario riportato in altra bibliografia).

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17A- Fausto e Bruno nei pressi della cima del M. Argentella.
Il Fosso dell’Argentella in versione invernale.
47- Pianta satellitare del percorso proposto.
48- Dettaglio satellitare delle cavità visitate.
49- Posizione delle cavità secondo il Catasto delle Grotte della Regione Marche.
49- Il percorso proposto visto dalla Cima delle Prata.
50- Dettaglio delle cavità visitate.
51- Il Canale d’Argento, percorso invernale di salita al Fosso dell’Argentella.



SASSO DI PALAZZO BORGHESE – Canale Nord salita estiva.

Il canale Nord del Sasso di Palazzo Borghese lo abbiamo già salito in invernale con Stefano il 27 gennaio 2022 a cui rimando.

Il 16 luglio 2022 ho ripetuto la salita risalendo il canale Nord su roccette e ghiaia fino alla cima, scendendo dapprima dalla sella di Sasso Borghese verso la parete Nord fino quasi al sentiero che sale dal Laghetto quindi prendendo l’imbocco del canale che, man mano che si sale, si fa più ripido fino all’uscita, su pendii di 45 gradi.

In occasione di questa salita ho effettuato una variante finale, risalendo un canalino roccioso sul lato sinistro che conduce a pendii erbosi paralleli al canale e con uscita poco più a destra del termine del canale Nord.

Di seguito le immagini della salita.

1- Il Monte Palazzo Borghese visto dal sentiero che sale da Capanna Ghezzi.
2- Il Monte Argentella e la bellissima conca nivale ancora verde tra questo monte ed il Monte Palazzo Borghese.
3 – 4 -La parete il canalone Est del Sasso di Palazzo Borghese.
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5- La stretta parete Nord di sasso di Palazzo Borghese con il ghiaioso canalone di salita estiva ed invernale, al centro della fascia rocciosa il canalino roccioso che ho risalito per prendere i pendii erbosi paralleli al canale Nord.
6- fase di discesa dalla sella di Monte Palazzo Borghese all’attacco del canalone Nord.
7- Inizio della salita del canalone Nord.
8- Il Monte Porche visto dal canalone Nord di Sasso di Palazzo Borghese.
9- A destra il Monte Sibilla.
9- A sinistra il canalino risalito per prendere i pendii erbosi paralleli al canalone Nord.
10- L’uscita del canalino sinistro.
11- La cima del Sasso di Palazzo Borghese con i massi smossi e spaccati dal terremoto del 2016.
12- Veduta verticale dalla parete di Sasso di Palazzo Borghese verso il sottostante “Laghetto”.
13- Il Piano Grande e Castelluccio visti dal Sasso di Palazzo Borghese.
14- Le dimensioni degli escursionisti sulla cima del Sasso di Palazzo Borghese paragonate alle dimensioni della parete.
15 – 16 – 17 -Camosci nella parete Sudest di sasso di Palazzo Borghese, la prima volta che li vedo in questa zona.
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18- Uno dei due camosci ha trovato rifugio sotto alla cima, a debita distanza dagli ignari escursionisti.
19- La cima gemella parallela al Sasso di Palazzo Borghese completamente distrutta dal terremoto del 2016 e con massi ancora in bilico.
20- L’intera parete Sudest di Sasso di Palazzo Borghese con il ripido canalone est già salito da noi, vista dalla cima gemella.
21- La cima gemella, più piccola e situata più a Sud, a destra il Monte Sibilla.
22- La cima di Sasso di Palazzo Borghese e la cima gemella più bassa
23- La cima gemella con escursionisti e la faglia aperta dal terremoto del 2016 poco sotto il sentiero di cresta.
24- Cherleria (ex Minuartia) capillacea
25 – 26- Geranium argenteum dell’unica stazione dei Monti Sibillini, la più a Sud d’Italia.
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27- Potentilla apennina
28- Campanula scheuchzeri
29- Masso isolato nella valletta tra Monte Argentella e Monte Palazzo Borghese con Sempervivum arachnoideum
30- Dettaglio della foto n.29
31- Fringuello alpino (Montifringilla nivalis) morto, è già il terzo che trovo questt’anno.
32- La strada del San Lorenzo vista dall’alto con il grande Faggio della Forca di Gualdo.
33- Epipactis atrorubens con Imenotteri.
34- Digitalis ferruginea con Bombi e Xylocopa violacea (Bombo del legno)



MONTE BOVE SUD – Itinerario alternativo a picco sulla Val di Panico

L’itinerario che propongo non è un vero e proprio nuovo tracciato ma un modo diverso di vivere il Monte Bove Sud, si può definire come un itinerario alternativo.

Anziché raggiungere semplicemente la cima del Monte Bove Sud deturpata dalla vecchia stazione della funivia, dai cavi a dai piloni, propongo un giro intorno al plateau sommitale della cima, destinato tanti anni fa ad un folle progetto di trasformarlo in pista da sci, ma passando ad una quota in modo da non vedere più quelle orribili strutture e nello stesso tempo avere una visione verticale della sottostante Val di Panico.

Ho evitato deliberatamente di fotografare la stazione della vecchia funivia e gli orribili piloni rimasti a sorvegliare l’area faunistica protetta del camoscio dell’appennino poiché purtroppo sicuramente conosciuti da tutti i frequentatori di questa zona dei Monti Sibillini.

Forse prima di liberare i camosci nella zona era opportuno rimuovere i cavi, i piloni e perché no, anche la vecchia stazione della funivia.

Molte immagini, per far notare la verticalità dei pendii, riprendono volontariamente i miei scarponi proprio per far capire che sono state scattate dall’alto verso il basso e non per pubblicizzarli.

L’itinerario alternativo proposto si snoda nel perimetro della cima, scendendo dai prati sommitali dapprima verso le pendici del versante Nord, verso il cosiddetto “Canale Maurizi”, canale di salita noto ai frequentatori invernali di questa montagna, per poi proseguire in quota su ripidi pendii erbosi con vista verticale sulle sottostanti pareti rocciose che formano la testata sinistra (orografica) della Val di Panico, superando in quota il canale Nord e raggiungendo la sommità dell’uscita della via invernale alla Cascata “Torre di Luna”.

Quindi si cambia lentamente versante dirigendosi verso i pendii del lato Est sorvolando nel vero senso della parola la testata della Val di Panico sottostante la Forca Cervara.

Quindi si consiglia di proseguire tutto il versante, scendere per il sentiero della Forca Cervara e raggiungere la cima che sovrasta la Forcella stessa in modo da avere una visione di tutto il versante Est del Monte Bove Sud appena traversato.

Quindi si risale in cima per il sentiero Monte Bove Sud-Forca Cervara, anche in questo caso, se si vuole, tenendosi bassi in modo da avere la visione dei piloni ma inevitabilmente rimarrà comunque in vista la Stazione della ex funivia.

1- Cavali al pascolo al mattino presto sulla salita per la sella di Monte Bicco.
2- Camoscio curioso giunto fino a 10 metri da me, tra poco ci brucheranno l’erba sulle mani.
3- Salendo verso il Monte Bove Sud, con la frana prodotta dal sisma del 2016.
4- La Val di Bove ed il Monte Bove Nord.
5- L’uscita del canale invernale Maurizi al Monte Bove Sud., di fronte il Pizzo Berro.
6- Le pendici Nord della cresta Monte Bove Nord-Monte Bove Sud nella Val di Panico ed il Monte Rotondo a destra.
7- Le pendici sovrastanti la cascata Torre di Luna, lo spigolo a picco sulla Val di Panico.
8- Veduta verticale sui cavalli al pascolo in val di Panico
9-10- Veduta verticale verso le doline della parte laterale della Val di Panico, i pendii sotto i miei piedi rasentano la verticalità.
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11- La testata della Val di Panico con il vecchio sentiero che sale in diagonale alla Forca Cervara.
12- La cima che sovrasta Forca Cervara
13- I pendii sovrastanti dal punto più basso raggiunto sopra la Torre di Luna, a destra l’uscita del Canale Maurizi, i piloni non sono più visibili.
14-15- A sinistra la cresta che scende verso Forca Cervara
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16- La forca Cervara vista dallo spigolo sopra la torre di Luna.
17- La cima che sovrasta la Forca Cervara vista dalle pendici Est del Monte Bove Sud.
18-19 – Veduta verticale dall’uscita del Canale Est del Monte Bove Sud, oggetto di mia salita alpinistica invernale di molti anni fa, riportato a pagina 119 del mio secondo libro IL FASCINO DEI MONTI SIBILLINI.
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20-21 – Il plateau sommitale del Monte Bove Sud è ricco di bellissimi esemplari di Genziana lutea.
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22- La cresta che scende dal Monte Bove Sud alla Forca Cervara.
23- La testata della Val di Panico ed il versante Ovest del Pizzo Berro.
24- La ardita cima senza nome (sperando che nessuno gli assegni un nome di fantasia) che sovrasta Forca Cervara, vista dal versante Est del Monte Bove Sud.
25- Le vallette umide del plateau sommitale del Monte Bove Sud ospitano popolazioni estese di Gentiana lutea, di fronte il Pizzo Berro.
26- Vista verticale sulla testata della Val di Panico scendendo verso la cima che sovrasta Forca Cervara.
27- Il sottile tratto di cresta che collega il Monte Bove Sud con la cima che sovrasta Forca Cervara
28- Veduta verso Sud, in fondo la strada Passo Cattivo – Capotenna.
29- La bastionata rocciosa Est del Monte Bove Sud con il canale di salita invernale salito da me anni fa.
30-31 – La cima senza nome che sovrasta Forca Cervara con il Pizzo Berro di fronte.
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32- Veduta della Val di Panico dalla cima di Forca Cervara
33- I cavalli della foto n.8 visti da due angolazioni diverse.
34- Il Pizzo Berro e Forca Cervara vista dalla cima sovrastante.
35-36 – Vista verticale sulla testata della Val di Panico.
37- La Val di Panico, sullo sfondo il Monte Rotondo a sinistra ed i Pizzo Tre Vescovi a destra
38- Le pareti Nord del Monte Bove Sud nella zona della Cascata Torre di Luna.
39- Panoramica verso Sud sulle altre cime dei Monti sibillini fino al Monte Vettore al centro e Cima del Redentore a destra.
40- Inachi Io o Pavone di giorno, una delle più colorate farfalle della fauna europea.
41 -42 – Ottimi Psalliota marcrospora.
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43 -44 – Cerastium in corso di identificazione che si trova solo nelle pareti Nord del Monte Bove Sud.
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45- Frutto di Anemone alpina.
46- La piccolissima felce di alta quota Botrichium lunaria
47- E la piccolissima orchidea di alta quota, Coeloglossum viride.
48- Il Giglio Rosso: Lilium bulbiferum subsp.croceum
49-50 – La faglia che attraversa il versante Ovest del Monte Bicco con il lieve abbassamento del terreno di circa 20-30 centimetri evidenziato dalla riga bianca alla base della placca rocciosa.
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51- Versante Nord del Monte Bove Sud con il tracciato effettuato ed i relativi punti fotografici.
52-53- Versante Est del Monte Bove Sud con il tracciato effettuato ed i relativi punti fotografici.
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MONTE CARDOSA Per la cresta Est.

Il Monte Cardosa si trova al margine dei Monti Sibillini, sulla verticale Ovest di Castelsantangelo sul Nera ed è escursionisticamente accessibile sia dalla frazione di Rapegna per ripido sentiero che risale il vallone omonimo che da Visso tramite una lunga carrareccia.

Il mio amico Giuseppe Salvucci propone un itinerario inedito e impegnativo, ripido e di oltre 1000 metri di dislivello, che risale la cresta Est del Monte Cardosa che avevo osservato da tempo ma che non avevo mai avuto modo di salire .

ACCESSO: Si raggiunge in auto l’abitato di Castelsantangelo sul Nera passando per Visso quindi superata la piazza con le attività commerciali si prosegue in direzione di Castelluccio, alla prima curva quando inizia la salita, una deviazione a destra conduce alla frazione di Rapegna. Si prosegue in auto la strada di fondovalle per altri 600 metri  fino ad incrociare una ripida salita a destra che termina più in alto in corrispondenza di alcune case diroccate e stalle dove si parcheggia (348928,7 E – 474956,5 N; 790 m.).

DESCRIZIONE: Si continua a piedi il tratturo che sale ripido nel bosco costeggiando sulla sinistra il fosso della Valle di Rapegna per 1500 metri fino ad uscire su un prato con sorgente d’acqua (1 ora, 347561,3 E – 4748831,4 N; 1180 m.). Si sale sopra al prato a destra fino ad intercettare un ampio stradone che, in piano, ad una quota di circa 1180 metri, si inoltra nel bosco, in direzione Est (347543,9 E – 4748889,2 N).

Si segue il tratturo in leggera salita per circa 1,5 chilometri, superando tre ampi valloni boscosi fino ad uscire su una zona più aperta proprio in corrispondenza della cresta Est (30 minuti, 348192 E – 4750312,4 N; 1335 m.).

Da qui si risale liberamente il ripido prato sopra al tratturo  mantenendosi verso il filo di cresta fino a raggiungere una barriera rocciosa continua che obbliga a deviare nettamente sulla sinistra fino ad un canalino erboso con grande cespuglio di alberi alla base che permette di scavalcarla (20 minuti, 347873,7 E – 4750030,3 N; 1485 m.).

Si sale su ripido prato passando al centro di altre formazioni rocciose isolate, questo è il tratto più ripido del percorso ed è consigliato l’uso di una piccozza.

Oltre questa seconda barriera rocciosa si devia lentamente verso destra per ripidi prati per tornare a riprendere il filo di cresta oltre la sommità del poggio roccioso appena superato (15 minuti, 347765,3 E – 4750078,4 N; 1580 m.).

Da questo punto la cresta si fa meno ripida e con altri 700 metri di salita costante si raggiunge la croce della cima del Monte Cardosa (30 minuti, 347145,9 E – 4749926,9 N; 1820 m.).

DISCESA: Dalla cima del Monte Cardosa si scende liberamente per prati e tratti alberati nel versante Sud-ovest in direzione della strada sterrata che si vede sottostante.  Raggiunta la strada ci si dirige verso sinistra (Sud-est) fino ad incontrare il tratturo che scende nel vallone sottostante fino alla sorgente e da qui si scende per il sentiero di salita del fosso fino a Rapegna.

1- La seconda parte dell’itinerario, nel tratto di salita della cresta Est.
2-3- Dettaglio dell’itinerario nel tratto più impegnativo per il superamento della barriera rocciosa.
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4- Dettaglio dell’ultimo tratto di cresta Est prima della cima.
5- Veduta di Castelsantangelo sul Nera dal tratto aperto sopra al tratturo nel bosco.
6- Il punto dove si apre il tratturo nel bosco e si inizia la salita.
6- La Cresta Est., in alto la barriera rocciosa che si supera a sinistra.
7- Avvicinamento alla barriera rocciosa, sul margine sinistro si nota il grosso cespuglio alla base del canalino erboso di risalita.
8- La barriera rocciosa
9 – 14- Fasi di salita con veduta di Castelsantangelo sul Nera sempre più in basso.
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15- Il Poggio posto sopra alla barriera rocciosa, visto dalla cresta sovrastante.
16- L’ultimo tratto di facile cresta prima della cima del Monte Cardosa.
17- La croce di vetta del Monte Cardosa.
18- Pianta satellitare del percorso proposto. ROSSO: Itinerario di salita GIALLO: Itinerario di discesa



ROTTE FERRARA

Rótte Ferrara, come denominata localmente, è una grotta di cui si era persa la memoria se non fosse per pochi anziani della zona che raccontano di esserci andati addirittura quando erano ragazzi.

Due anni di ricerche e quattro tentativi falliti, ma finalmente è stata riscoperta ed è un ritrovamento sensazionale. È proprio vero: i Monti Sibillini sono lunghi poco più di 30 chilometri e larghi appena 5 ma non finiscono mai di stupirci.

La grotta è particolarissima e del tutto sconosciuta alla letteratura ufficiale: non è menzionata né riportata in alcuna bibliografia, cartografia o catasto speleologico. Si apre nel selvaggio versante Nord del Monte Priora, tra Il Pizzo ed il Pizzo Regina, nell’alta valle dell’Ambro.

L’itinerario di raggiungimento si svolge su terreni ripidissimi, è scomodo, impegnativo e adatto solo ed esclusivamente ad escursionisti esperti. È consigliabile portare una piccozza soprattutto per l’attraversamento dell’ultimo tratto di pendio e per la discesa del canalone prima della grotta.

Ringrazio di cuore chi mi ha indicato questo magico luogo pur volendo restare nell’anonimato.

ACCESSO:  Si raggiunge la frazione di Vetice di Montefortino in auto.

DESCRIZIONE: Da Vetice si prende il classico e conosciuto sentiero n.224 che risale i Campi di Vetice in direzione de Il Pizzo-Sorgenti dell’Ambro.

Prima di giungere a Prato Porfidia il sentiero si dirama, e si prosegue a sinistra in salita nel bosco per il tracciato che conduce a Il Pizzo (o Monte Pizzo). [indicazione in vernice rossa su un albero]

Giunti all’ultimo tornante, il sentiero curva verso sinistra, uscendo su un prato e poi rientrando nel bosco (1 ora, 358517,2 E – 4756222,6 N; 1495 m.).

Dal prato che si apre a destra (Jacciu de le Murelle) si risale senza traccia il dosso erboso costeggiando alla vostra sinistra il bosco, per circa 200 metri (foto n.1; 70 metri di dislivello) fino ad affacciarsi sul versante ovest (358374 E – 4756111,6 N; 1575 m.); da qui si individua chiaramente la traccia che inizia a traversare in piano su ripidi pendii.

La traccia continua netta in quota, entra in un canalone con fondo ghiaioso, segue due curve del pendio e prosegue per l’unico punto possibile di passaggio, montando su uno sperone di roccia molto esposto dove il sentiero è stato intagliato nella pietra per superare una cresta rocciosa verticale (foto n.2-3; 358241,3 E – 4756078 N; 1580 m.).

Superato questo stretto e obbligato passaggio il sentiero prosegue su ampi ma ripidi prati in quota in lieve e costante salita, fino raggiungere quasi la base delle rocce sovrastanti  e superando ben 10 canaloni ghiaiosi denominati “I Cavù”. Questo è il vecchio sentiero che attraversa tutta la zona denominata “Li Cavù”, collegando la zona delle Murelle alla zona della Regina.

In corrispondenza dell’ultimo canalone il pendio si fa ancora più ripido e si perde il tracciato ma si è già in vista delle prime rocce, chiamate localmente “La Travertina”, sulla dirittura delle Roccacce che si trovano nel lato opposto della valle,  sotto le quali si apre la grotta (1 ora, 357719,5 E – 4755904 N; 1655 m.).

Si prosegue in leggera salita passando su un terreno degradato e reso scivoloso dalle slavine facendo molta attenzione, dirigendosi sopra al ripidissimo canalone erboso, il Ravaro di Ferrara, che precede le prime rocce de La Travertina.

Superato il canalone si ridiscende su un dosso erboso più comodo (le pogghiette, 357400,8 E – 4756018 N; 1635 m.) verso la cima dei primi torrioni sottostanti (la travertina).

Consigliamo qui un affaccio sul versante della Regina (foto n.18).

Dal dosso erboso si inizia a scendere nel ripidissimo canalone erboso del Ravaro di Ferrara, prima attraversando sopra alle rocce in direzione est, poi piegando a nord per entrare completamente dentro al vallone dove è bene tenersi verso la sponda di sinistra meno inclinata aggirando così le prime roccette. Sempre sulla sinistra, dopo essere scesi per 30 m circa, si nota una cengia erbosa in leggera salita da cui però è impossibile vedere l’ingresso della grotta fin quando non vi si è arrivati di fronte, in quanto si trova alla fine della salitella, nascosto dai rovi e ribassato rispetto al livello del terreno.

Si risale la cengia erbosa e con rovi  ma essendo l’ingresso della grotta molto basso la si nota sono quando si è arrivati di fronte (30 minuti, 357452,7 E – 4756041,5 N; 1595 m.).

Il pavimento della grotta è formato da un terriccio rosso probabilmente contenente minerali ferrosi, da cui forse prende il nome (Ferrara perché contenente ferro) è molto umido ed è infatti ricoperto di epatiche e presenta anche una pozzetta d’acqua rossa riempita con lo stillicidio delle gocce d’acqua che scendono dal soffitto.

Evitare assolutamente di calpestare le epatiche presenti nel pavimento dentro alla grotta.

Sulla destra è presente una spaccatura che segue le pieghe della roccia, da cui filtra la luce, altre spaccature creano numerose nicchie al suo interno.

Sulla sinistra c’è la cavità più grande profonda oltre 6 metri.

RITORNO: Stesso itinerario 2,5 – 3 ore. Per chi è pratico di alpinismo si può anche suggerire una discesa in coda doppia, assicurata sugli alberi, lungo il Ravaro di Ferrara, il canalone sottostante le grotte, tenendosi inizialmente sulla sinistra per rischio di caduta massi dal versante orografico destro fino ad intercettare il, molto più comodo ma molto più in basso, sentiero Vetice – Sorgenti dell’Ambro nella zona dell’Acqua Arva.

1- Il dosso erboso (Jacci delle Murelle) oltre il quale si individua il sentiero.
2- Il sentiero sopra al bosco si fa netto e, di fronte a destra, si vedono gli scogli che nascondono le Rotte Ferrara, denominati La Travertina, sullo sfondo il versante Est dl Pizzo Tre Vescovi, già oggetto di nostra salita.
3- Il ripidissimo passaggio obbligato attraverso la cresta rocciosa
4- La traccia prosegue passando alla base delle rocce delle Murelle, superando i vari canaloni de I Cavu’.
5- Ci avviciniamo sempre di più, si vede bene la zona sopra alle rocce, denominata Le Pogghiette, caratterizzata da verdissima erba, che bisogna raggiungere per scendere alle grotte.
6- Veduta della valle di fronte, con il Pizzo Tre Vescovi a sinistra, il Monte Acuto ed il Monte Castel Manardo a destra, al centro la formazione rocciosa denominata Le Roccacce.
7- Il Monte Castel Manardo con i ripiani della zona denominata Pescolla e il Casale Ricci
8- Il Monte Amandola e il Balzo Rosso (non quello dell’ultimo itinerario del Pizzo di Mèta).
9- Gli interminabili ghiaiosi e ripidi canaloni de I Cavù.
10 – 11- Torrioni di varie altezze sopra al sentiero.
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12- La Travertina, con la ancora più netta zona de Le Pogghiette caratterizzata da verdissimo falasco .
13- Giunti all’ultimo ripidissimo canalone si nota anche l’ingresso della Rotte Ferrara, alla fine della cengia erbosa che risale dal canalone.
14- Sguardo su tutto il versante de Li Cavù appena attraversato con i numerosi canali e le imponenti rocce sovrastanti.
15- Le Pogghiette e la sommità de La Travertina.
16- Veduta d’insieme verso il versante Nord del Pizzo Regina da Le Pogghiette.
17- 18- La sommità de La Travertina da cui si scopre la testata della Valle dell’Ambro con il versante Est del Pizzo Tre Vescovi e la strada che va verso il Casale Rinaldi.
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19- Sguardo su tutto il versante de Li Cavù appena attraversato con i numerosi canali e le imponenti rocce sovrastanti, da le Pogghiette si vede anche il Poggio della Croce..
20-21-22- Il Ravaro di Ferrara, il ripidissimo canalone che bisogna scendere nel lato sinistro per raggiungere Rotte Ferrara, qui occorre prestare la massima attenzione.
21- Panorama dalla grotta.
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23- Dal canalone (a sinistra) risalendo una cengia erbosa si arriva all’ingresso della Rotte Ferrara, visibile solo all’ultimo.
24-25- L’ingresso della Rotte Ferrara è ricoperto da una folta vegetazione di rovi.
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26-27-28- La Rotte Ferrara, con il pavimento caratterizzato da terra color ruggine (da cui il nome) con pozze di acqua di stillicidio e rivestito di Epatiche, si consiglia di prestare attenzione a non calpestare le rare formazioni vegetali
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29- 30- La fenditura interna da cui filtra la luce
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31- 32- Veduta di fronte dell’itinerario dal Monte Castel Manardo.
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33- 34- Dettaglio dell’ultimo tratto di raggiungimento alle Rotte Ferrara
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35- Pianta satellitare dell’itinerario proposto:
PERCORSO IN ROSSO: Itinerario, andata e ritorno.
36- Dettaglio satellitare dell’ultimo tratto di raggiungimento alle Rotte Ferrara



I TERRAZZI DA BRIVIDO DEI MONTI SIBILLINI – Parte 4 – I TORRIONI NORD-EST DI PIZZO DI META

La cresta Nord-est del Pizzo di Méta precipita verso la vallata sottostante per circa 800 metri di dislivello, dai 1556 metri della cima ai 737 metri di Piobbico, se si prende come riferimento l’inizio della strada che da Sarnano sale a Sassotetto costeggiando la cresta, ed è formata da una serie di imponenti torrioni molto diversi tra di loro in quanto formati da rocce distinte.

Si parte dallo spettacolare Balzo Rosso, (foto n.1-4, da non confondere con il Balzo Rosso a Sud-est del Monte Amandola) che incombe sulla vallata tra Terro e Piobbico, due frazioni di Sarnano, formato da calcare rosso (scaglia rossa) da cui il nome, a quello centrale denominato dagli arrampicatori “Il Duomo”, (foto n.14-16) formato da placche di calcare disposte in strati verticali, palestra di arrampicata attrezzata dal CAI Sarnano, al torrione finale, posto un centinaio di metri sotto la cima del Pizzo di Mèta, a cui ho attribuito il nome del “torrione dell’altare” per la presenza di un grande masso perfettamente piatto simile ad un altare sulla sua sommità (foto n. 36-38).

Da un pò di tempo si osserva sui social l’abitudine di attribuire nomi di fantasia a cime del Monti Sibillini come le inesistenti Pizzo Pae e Cima Felix, vista la mia frequentazione dei Monti Sibillini, con oltre 1100 ascensioni, mi sono permesso di denominare, ma non di scrivere il nome con il pennarello sul posto come fanno alcuni di cui non faccio commenti, questo singolare masso “l’altare “, visto che poco al di sotto è presente un torrione denominato in zona “Il Duomo”.

Le sommità dei tre torrioni possono essere raggiunte in una unica ascensione e permettono di affacciarsi da dei terrazzini da brivido e godere di una visione aerea delle vallate sottostanti fino alla costa.

Il Torrione dell’Altare è interessante anche perché nelle rocce della sommità si trovano delle mineralizzazioni a Ossidi di ferro e Quarzo, altrimenti molto rare o forse uniche nel resto della Catena dei Monti Sibillini.

L’itinerario descritto non è particolarmente lungo e faticoso ma comunque consigliato ad escursionisti esperti in quanto si devono salire alcuni tratti piuttosto ripidi.

Se poi si vuole salire il torrione del Duomo per una delle sue vie alpinistiche si deve disporre di esperienza di salita su roccia e del materiale necessario quale corda, rinvii e chiodi.

ACCESSO: L’itinerario che descrivo per salire la cresta Nord-est del Pizzo di Mèta parte dalla strada Sarnano-Sassotetto. Da Sarnano si prende la Strada Provinciale n.120 che sale verso la frazione di Piobbico e quindi prosegue per Sassotetto. Dopo Piobbico, giunti al quarto tornante in salita, proprio di fronte all’imponente Balzo Rosso, è presente una piccola area pic-nic (con un solo tavolo) e una fontanella, ormai quasi asciutta, dove si parcheggia, considerare che al massimo ci sono due posti auto (357254,6 E – 4764376,4 N; 1105 m.).

DESCRIZIONE: La salita prevede nella prima parte, per raggiungere la sommità di Balzo Rosso, due possibilità (foto n. 64 e 66):

1A- Dall’area pic-nic si sale su traccia di sentiero il pendio di fronte in direzione del Balzo Rosso, arrivati fin quasi alle falde rocciose si sale al margine del bosco su pendio molto ripido e quindi usciti dal bosco si devia verso destra fino a raggiungere la cresta rocciosa, poco sopra la cima del Balzo Rosso, che si deve scendere per affacciarsi dalla sua sommità (10 minuti).

2A- Dall’area pic-nic a piedi si ritorna indietro per la strada per circa 200 metri fino a raggiungere il canalone boscoso che scende dalla curva della strada, sotto strada si trova una traccia di sentiero che, dirigendosi verso sinistra, inizia a costeggiare la base dell’imponente muraglione roccioso strapiombante che termina con il Balzo Rosso, ignorare la traccia che scende a valle ma mantenersi a ridosso della parete, al di sotto della quale è presente anche una vecchia vasca di raccolta delle acque di stillicidio che cadono dalla parete stessa. Si prosegue faticosamente sotto alle rosse pareti su pendio ripido alternato ad erba e roccette per circa 600 metri, si supera la base del torrione e si continua a costeggiare la parete fino a che il bosco dirada e ci si trova su un pendio erboso molto ripido che forma un imbuto tra due cime. Si sale direttamente il pendio con alberi isolati al centro dell’imbuto con attenzione deviando leggermente verso sinistra fino a raggiungere il dosso erboso che sovrasta la cima del Balzo Rosso, quindi scendendo la cresta erbosa si raggiunge la cima del Balzo Rosso (45 minuti dall’area pic-nic). Questa variante, effettuata per la prima volta diversi anni fa, è consigliata solo ad escursionisti esperti.

Una volta raggiunto il Balzo Rosso (357353,3 E – 4764623,6 N; 1170 m.) ed essersi affacciati, con molta cautela, dalla sua cima, si deve risalire la cima erbosa sovrastante per facile cresta (5 minuti, 357308,7 E – 4764776,2 N; 1280 m.).

Dalla cima si trova una traccia di sentiero che scende in direzione opposta, verso Sud-ovest, fino ad una forcella, (357198,4 E – 4764696.3 N; 1265 m.) qui il tracciato, il cosiddetto “Sentiero della Fienara”, (foto n.7 e 10), riportato in bibliografia si fa più netto e continua in piano sotto alla cresta ma, giunti in questo punto conviene ignorarlo in quanto più avanti porterebbe fuori obiettivo, inoltre la zona, essendo rimboscata, presenta numerosi ripiani confondibili con sentieri e che inducono facili in errori.

Dalla forcella si lascia il sentiero a sinistra e si riprende invece la ripida cresta che si presenta di fronte, evitando un primo salto roccioso. Proseguendo, la cresta si fa rocciosa in leggera salita e costeggia nel versante destro (Nord) il bosco. Quindi con un ultimo tratto all’interno di un boschetto si raggiunge la base del secondo imponente torrione detto Il Duomo (30 minuti, 356957 E – 4764542,5 N; 1320 m.).

Anche qui si hanno due possibilità (foto n.67-68).

1B- Si costeggia a sinistra tutto il torrione passando alla sua base boscosa fino al termine delle rocce oltre il quale si apre un ripidissimo canalone (356886 E – 4764367,8 N,1315 m.), boscoso nella prima parte, che si risale, passando al di sotto di curiose formazioni rocciose (foto n.17), e, con una ultima risalita su ripida erba e facili roccette, conduce alla sommità del torrione stesso (20 minuti, 356859,7 E – 4764483,2 N; 1360 m.) da cui potersi affacciare e ridiscendere.

2B- Chi arrampica può salire la cresta nord-est del torrione su una via di roccia chiodata che presenta passaggi di IV grado su placche alternate a fessure erbose, che ho risalito molti anni fa ma di cui non ricordo dettagliatamente al punto tale da riportarne la descrizione per non indurre errori ai ripetitori, nel Duomo sono presenti 4 vie di IV-VI grado di due tiri ciascuna di cui però purtroppo non si trova descrizione neppure in bibliografia, comunque costeggiando la base del torrione si scorgono le chiodature.

Una volta giunti al termine della base del Duomo (oppure raggiunta la cima si deve ridiscendere alla sua base per il canalone descritto al punto 2A) si inizia a traversare verso sinistra su pendio ripido in lieve salita seguendo in quota la linea di boschetti isolati presenti in zona passando alla base di formazioni rocciose fino ad una parete rocciosa caratterizzata da due piccole cavità (15 minuti, foto n.18, 356799 E – 4764253,6 N; 1360 m.). Aggirando a destra lo spigolo della parete si apre un ripido canalone erboso dove in alto si notano le formazioni paravalanghe presenti poco sotto la cima del Pizzo di Mèta . Si risale con attenzione il ripido pendio erboso fin quasi a raggiungere le barriere metalliche quindi deviare nettamente a destra per raggiungere il primo torrione dove è presente una mineralizzazione ad Ossidi di ferro e Silice. Dal torrione (20 minuti, 356720,1 E 4764386,8 N; 1425 m.)si osserva, verso Nord, la cima leggermente più bassa del torrione parallelo, il Torrione dell’Altare (356659,5 E – 4764478,2 N: 1415 m.), dove è presente il masso che appunto sembra un altare.

Nelle rocce dei due torrioni paralleli si trovano gli affioramenti mineralizzati a ossidi di Ferro con noduli di Calcedonio e cristallini di Quarzo, come riportato nelle foto n. 43-55

Dal torrione dell’Altare si risale il ripido pendio erboso sovrastante fino alla cima del Pizzo di Mèta caratterizzato da una croce metallica (10 minuti, 356502,2 E – 4764308,5 N; 1556 m.).

DISCESA: Dal Pizzo di Mèta si può ridiscendere per la strada sterrata del versante Ovest fino ai campi da sci di Sassotetto, il classico itinerario di raggiungimento alla cima, quindi proseguendo la strada asfaltata in discesa per almeno 5 chilometri in direzione di Sarnano si raggiunge il tornante con l’area pic-nic di fronte a Balzo Rosso dove si è parcheggiato l’auto.

Oppure, per chi conosce la zona, si scende liberamente nel versante Est senza tracciato fino ad un pianoro sottostante (foto n.60-62) dove si scorge un sentiero, seguendolo fedelmente si scende sulla strada Sassotetto-Sarnano, sulla verticale di Fonte Lardina.

1- Il Balzo Rosso nel versante Nord-est del Pizzo di Mèta, dalla sommità si osservano tutte le Marche fino alla costa.
2- Il Balzo Rosso con i due tratti boscosi paralleli di raggiungimento proposti.
3- L’imponenza del terrazzo del Balzo Rosso co la sua base strapiombante.
4- Il Balzo Rosso visto dalla frazione di Brilli di Sarnano.
5- Veduta aerea dal Balzo Rosso
6- Veduta della strada Sarnano-Sassotetto dalla sommità di Balzo Rosso.
7- Il sentiero della Fienara nel pendio erboso in primo piano, a sinistra Il Duomo e il Torrione dell’Altare in successione uno dietro l’altro.
8- La cima erbosa a monte del Balzo Rosso, al lato destro il pendio di risalita proposto nella variante 2A.
9- Ed il Balzo Rosso visto dalla cima erbosa sovrastante.
10- La forcella a monte del Balzo Rosso ed il sentiero della Fienara a sinistra che occorre evitare e proseguire per la cresta rocciosa sovrastante
11- Il selvaggio e roccioso versante Est del Monte Ragnolo, nulla a che fare con i più conosciuti ed erbosi piani omonimi del versante Ovest.
12- La valle del Rio Terro e la zona delle Grotte di Soffiano.
13- Il Balzo Rosso visto dalla cima del Duomo, sullo sfondo l’abitato di Terro.
14- Il secondo torrione della cresta, il cosiddetto “Duomo”, più in alto il torrione dell’Altare con le barriere antivalanghe poste sotto alla cima del Pizzo di Mèta.
15- La base del Duomo
16- Il lato Est del Duomo con, a sinistra, il canalone boscoso di risalita per raggiungere la cima, sulla cresta alla sinistra le strane formazioni rocciose che si incontrano durante la salita.
17- Le strane formazioni rocciose a strati verticali poste sulla cresta a monte del Duomo.
18- La parete con le grotticelle posta prima del canalone (a sinistra) di risalita al Torrione dell’Altare.
19-Il canalone erboso visto dal suo termine e il Torrione dell’Altare in alto a sinistra con la prima barriera antivalanghe, in basso il Duomo e l’inconfondibile Balzo Rosso..
20-Il canalone erboso finale e il Torrione dell’Altare
21- La bellissima farfallina Nemophora metallica
22- E la Inachis Io o Pavone di giorno.
23-28 Mentre ero intento a fotografare le mineralizzazioni un camoscio ignaro della mia presenza mi è giunto fino ad una decina di metri.
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29- Il Balzo Rosso e il Duomo visti dal Torrione dell’Altare.
30- Il gruppo Nord dei Monti Sibillini visti dal Torrione dell’Altare, da sinistra il M.Castel Manardo, Pizzo Regina, Pizzo Berro, M.Acuto, Pizzo Tre Vescovi e M.Rotondo nel margine destro.
31- La cima del Torrione dell’Altare vista dal torrione della mineralizzazione.
32- La forcella tra i due torrioni finali con vista sulla valle di Rio Terro.
33- 35 Veduta in verticale dal Torrione dell’Altare sulla valle di Rio Terro sottostante.
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36- Il Torrione con il masso che sembra un Altare a destra.
37-38- L’Altare
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39- Il Monte Ragnolo con il pendio erboso a sinistra che degrada verso i Piani omonimi.
40- L’ultimo pendio erboso prima di raggiungere la croce della cima del Pizzo di Mèta, nelle rocce di fronte è presente una interessante mineralizzazione a Ossidi di Ferro e Silice.
41- Le rocce del torrione presentano u filone mineralizzato fino sotto al Faggio
42- Il filone della mineralizzazione dove si notano le rocce di colore marrone ad Ossidi di Ferro.
43-44- Le spalmature ad Ossidi di Ferro dal caratteristico colore ruggine.
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45-50- I noduli di Calcedonio con cristallini di Quarzo inglobati nel calcare .
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51-54- Geodi di cristallini di quarzo evidenziate mediante acidatura della roccia che sciogliendo il calcare mette in risalto i noduli silicei insolubili nell’acido.
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55- Ed addirittura un cristallo centimetrico di Quarzo
56- Il Torrione dell’Altare visto dalla cima del Pizzo di Mèta.
57- L’altare a sinistra con lo sfondo del paese di Terro.
58-59- La croce della cima di Pizzo di Mèta.
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60- Il pendio Est del Pizzo di Mèta con l’abitato di Sassotetto in alto a destra, da cui si può scendere per raggiungere più rapidamente la strada Sassotetto-Sarnano prendendo il sentiero che si nota nel pianoro in fondo, poco più in basso dell’abitato.
61- Il Pizzo di Mèta visto dal sentiero che scende verso Sassotetto, con il profilo del Torrione dell’Altare e, più in basso, il Duomo.
62- Il Monte Sassotetto devastato dai ripetitori e dalle pisce da sci, visto dalla valletta da cui si può scendere per abbreviare il percorso del ritorno all’auto.
63- L’itinerario proposto visto dal pendio Est del Pizzo di Mèta in una splendida alba di alcuni anni fa con un mare di nebbia sottostante.
64- L’itinerario proposto visto dalla frazione Brilli (strada Sarnano-Piobbico) di Sarnano.
65-L’itinerario proposto vista dalla strada Piobbico-Sassotetto
66-La prima parte dell’itinerario proposto vista dalla strada Piobbico-Sassotetto.
67-68- La seconda parte dell’itinerario proposto vista dalla strada Piobbico-Sassotetto.
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69- Il particolare dell’ultimo canalone da risalire per raggiungere il Torrione dell’Altare e quindi la cima del Pizzo di Mèta.
70- Pianta satellitare del percorso proposto, in giallo le due varianti 1B e 2B ed in verde gli itinerari di discesa all’area pic-nic indicata come punto di partenza.