Su richiesta di alcuni lettori che giustamente mi rimproverano di descrivere nel sito itinerari sempre piuttosto impegnativi, stavolta propongo un percorso ad anello facile, adatto a tutti anche se lungo 15 chilometri ma con soli 450 metri di dislivello.
Il percorso ad anello non è indicato nella bibliografia ufficiale dei Monti Sibillini.
ACCESSO: L’itinerario prevede la partenza dalla Piazza di Castelluccio (1432 m.) dove si parcheggia l’auto e permette di raggiungere come altezza massima il Monte delle Rose e il Monte Patino, con ritorno per la parte superiore della Val Canatra.
SALITA: Dalla Piazza di Castelluccio si prende la strada sterrata che sale nel versante Est del Monte Veletta, verso sinistra, sopra al Cimitero, e che conduce al punto di decollo dei parapendii. Raggiunte le pendici Sud di Poggio di Croce, nei pressi delle Coste i Forconi dove è presente la manica a vento del punto di decollo dei parapendii si prosegue la strada fino ad arrivare al pianoro di quota 1800 metri dove la sterrata si snoda in direzione Nord-ovest (foto n.8).
Si prosegue la sterrata deviando per sentiero (foto n.11) verso sinistra in direzione di Forca di Giuda (1794 m.) dove si raggiunge la cresta del Monte delle Rose che si risale fino alla cima (1887 m.).
Dal Monte delle Rose, dove paradossalmente non c’è neppure una pianta di rose selvatiche, si prosegue in discesa fino alla sella e si risale la cresta rocciosa verso la grande croce di Monte Patino (1883 m.).
DISCESA: Dal Monte Patino si ritorna indietro alla sella tra il Monte delle Rose e si taglia il versante Nord-ovest e successivamente quello Nord per comodo sentiero in quota che attraversa anche un vasto mirtilleto fruttificante, piuttosto raro a queste quote (foto n.22-23).
Giunti di nuovo alla Forca di Giuda si riprende la sterrata percorsa in salita fino al pianoro di quota 1800 m. e si prosegue verso Sud-est
Qui, giunti ad una deviazione si prosegue il tratturo di sinistra (foto n. 25) che si inoltra verso la valletta nella zona denominata Coste i Valloni attraversando vetusti lembi di faggeta (foto n. 29-30). Il tratturo gira nella valletta e percorre le in direzione Nord le pendici di Colle Bernardo, nella parte superiore di Valle Canatra, (foto n.33) per cambiare di nuovo direzione dirigendosi verso Est verso Coste le Prata (foto n.35) per congiungersi con la strada sterrata percorsa in salita nei pressi di Monte Veletta da cui in breve si raggiunge Castelluccio chiudendo così il percorso ad anello.
Oppure si può decidere di scendere per la bellissima Valle Canatra, una volta raggiunta la zona Coste i Valloni anziché proseguire il tratturo si scende direttamente nella valletta boscosa sottostante su traccia di sentiero, dapprima stretta poi man mano si allarga e gira verso destra da cui si apre la vista verso il Pian Perduto, fino a scendere alla Fonte Valle di Canatra.
Dalla grande fontana si sale lievemente al margine del bosco sulla destra e si prende un tratturo che conduce direttamente all’abitato di Castelluccio.
MONTE LIETO – DIRETTISSIMA
Il pomeriggio successivo all’escursione al Monte Castel Manardo, approfittando delle limpide giornate, ho salito di pomeriggio il ripido canale che si apre nel versante Est del Monte Lieto, nella Val Canatra.
L’escursione è breve, può essere fatta in mezza giornata, non presenta difficoltà ma è piuttosto ripida, in soli 2,2 km di salita si effettuano ben 650 metri di dislivello.
ACCESSO: Si raggiunge con l’auto il Pian Perduto salendo da Castelsantangelo sul Nera, si prosegue in direzione di Castelluccio e una volta arrivati all’imbocco della Val Canatra si parcheggia nello slargo della strada.
SALITA: Dallo slargo della strada si risale la Val Canatra per traccia di tratturo. Giunti alla base del canalone Est del Monte Lieto ci si dirige verso l’intaglio che esso forma nel versante della montagna.
Si risale all’interno del canale superando alcune facili formazioni rocciose alternate ad erba e massi fino ai più ripidi pianori sommitali, in 1,5 ore dall’auto si raggiunge la cima di Monte Lieto (1940 m.).
DISCESA: Si ritorna all’auto visibile dalla cima percorrendo il pendio erboso al lato sinistro (in discesa) del canale stesso senza tracciato.
MONTE CASTEL MANARDO risalita completa della cresta Est e discesa per la cresta Nord.
Approfittando di due pomeriggi consecutivi di cielo limpido, che non accadeva da Aprile, ho effettuato due salite brevi ma inedite e di rilevante dislivello nel breve tempo che richiedono.
La prima, la presente che descrivo, è un percorso ad anello che coinvolge le due creste parallele del Monte Castel Manardo, la est in salita, inedita, e la nord classica in discesa, con un dislivello totale di 600 metri in soli tre chilometri di tragitto, effettuati in meno di un’ora e 30 minuti in sola salita.
La salita è adatta a tutti e non presenta difficoltà, può essere effettuata in mezza giornata oppure prolungata scendendo a Forcella Bassete e ritornando indietro per la strada Pintura-Casale Grascette-Casale Bassete-Casale Rinaldi.
ACCESSO: L’itinerario prevede il raggiungimento in auto alla Pintura di Bolognola e si prosegue per la strada sterrata, a destra del Ristorante La Capanna, che conduce a Garulla. Si prosegue nella faggeta per circa un chilometro e, appena essa si dirada ed inizia un tratto con pini ed abeti di rimboschimento, si parcheggia, in corrispondenza di un cartello triangolare di rischio caduta massi, dove, sulla scarpata, sale una traccia di sentiero. (357831,7 E – 4760236,7 N; 1320 m.; foto n.1).
SALITA: Dalla scarpata si sale sulla traccia di sentiero che si dirige verso un costone erboso, nella zona denominata Rocchette, dove si cambia subito versante (foto n.2) , il sentiero, allargato e sdoppiato dal passaggio di bovini al pascolo estivo, costeggia il bosco sottostante conducendo, in circa 10 minuti, alla base di torrioni rocciosi (358362,4 E – 4760271,8 N; 1435 m.; foto n. 5-6), su superano alcuni ripidi canaloni (foto n. 8-9) per poi proseguire verso prati più aperti, in altri circa 20 minuti si raggiunge la cresta Est, in corrispondenza di quello che in alcune cartografie viene indicato come Pizzo di Monte Berro (358671,5 E – 4760397,6 N; 1485 m.; foto n. 10) dove si cambia versante e si scopre il Monte Amandola.
Si sale la meno ripida cresta erbosa che sale verso destra per altri 15 minuti fino a raggiungere il Monte Berro (358358,7 E – 4759986 N; foto n.13-14; 1608 m.) dove si intercetta la strada sterrata Pintura di Bolognola-Casale Grascette-Casale Bassete-Casale Rinaldi.
N.B. Recentemente sui social ho visto un video dove, da alcuni non ben identificati soggetti, veniva raggiunta la cima del Monte Berro con la neve, passando appunto dalla strada indicata, chiamandola Cima Venosa anziché con il vero nome riportato su tutte le carte topografiche dei Monti Sibillini.
Faccio notare che anche in precedenza avevo indicato che altre cime dei Monti Sibillini erano state contrassegnate con tanto di pennarello sulle pietre, di nomi di fantasia senza alcuna base storica o toponomastica (Pizzo Pae, Cima Felix)
Io vorrei sapere anzitutto dove questi strani soggetti hanno trovato questo nome, non esiste ne sulle carte ne sulla bibliografia, non ha alcun riferimento alla zona, è un puro e cretino nome di fantasia e non capisco come la gente si permetta, sui social, di attribuire nomi di fantasia a luoghi che invece hanno nomi centenari se non millenari, riportati su libri o cartografie, del resto mancando del tutto la segnaletica sul posto è chiaro che ognuno di senta padrone di assegnare il nome che vuole ad una cima come se fosse il primo ad averla raggiunta.
L’adeguata e indiscutibile segnaletica sembra non esistere nei Monti Sibillini, al contrario, come ho dimostrato in recenti reportage, di quanto accade in altri Parchi dell’Italia Centrale.
Una volta raggiunta la strada sterrata si prosegue la cresta erbosa (foto n. 18-19) soprastante in corrispondenza della curva di cambio di versante, senza tracciato, dapprima in lieve salita quindi si innalza e si inizia ad incontrare delle piccole trincee parallele prodotte probabilmente da vecchi terremoti. In circa 20 minuti dalla strada si raggiunge una piccola trincea dove si apre un buco di 30 centimetri di diametro (foto n.20) che non avevo mai notato prima (Vedasi l’articolo IL BUCO DI MONTE BERRO 15 Giugno 2020), dopo altri 30 metri di raggiunge una più profonda trincea dove si nota nel suo margine destro il Buco di Monte Berro, un pozzo largo circa 50 centimetri che si inoltra nelle viscere della montagna (foto n.21; 357911 E – 4759404 N; 1780 m) .
Dal Buco si prosegue la salita in cresta fino ad una paretina rocciosa che si risale a sinistra e in breve ad intercettare una vecchia strada che conduce alla Fonte Gorga, a circa 450 metri sulla destra, dove è presente una captazione con il tetto sfondato ed un fontanile che, ormai anch’esso come molte altre fonti dopo il terremoto del 2016, non porta più acqua ma la zona comunque è piena di piccole vene di acqua (357238,3 E – 4759171,4 N; 1845 m).
Dalla Fonte o anche dal pendio erboso prima, si risale in direzione sud-ovest per prati fino alla cima del Monte Castel Manardo (1917 m.) contrassegnata da un palo con vernice bianco/rossa (15 minuti dal Buco).
DISCESA: Dalla cima del Monte Castel Manardo si ridiscende in poco più di un’ora per l’itinerario classico (usato normalmente in salita) passante per la cresta Nord , la Porta di Berro e i Campi da Sci di Bolognola, già indicato su altri itinerari del presente sito.
Una volta raggiunti gli impianti, anziché prendere la strada sterrata che proviene da M. Berro, intercettata in salita e che conduce alla Pintura di Bolognola, si continua a scendere lungo le piste da sci verso destra, fino allo skilift “Pintura 2” situato sulla strada Pintura di Bolognola-Garulla da dove si è partiti. Giunti sul prato sovrastante la cabina di trasformazione dell’impianto di risalita anziché scendere e prendere la strada sterrata percorsa con l’auto si segue un sentiero (foto n. 39) che costeggia il bosco a destra per poi ridiscendere sulla strada 400 metri prima dell’auto chiudendo così il percorso ad anello.
MONTE ARGENTELLA – Nel cuore della grande e selvaggia parete Est – Grotte del Fosso dell’Argentella.
Un giorno il nostro amico Paolo Petrini, recentemente scomparso, definì il nostro modo di realizzare alcuni nuovi itinerari estivi (come molti riportati nelle mie pubblicazioni e nel presente sito) come un Escursionismo Estremo Esplorativo che può essere definito dalla sigla EEE in quanto non si effettua una vera e propria salita alpinistica ma non può essere neppure paragonato ad una escursione impegnativa e con difficoltà alpinistiche come definita dalla sigla EEA.
E’ un modo diverso, alternativo di vivere la montagna che si pone tra queste due forme di attività sportiva ma che ovviamente è destinato esclusivamente a persone esperte che sappiano affrontare itinerari EEA e che, lentamente e con cautela, si spingono oltre questo limite delle escursioni e che hanno anche le basi dell’alpinismo classico per saper affrontare salite o discese su roccia applicando tecniche alpinistiche.
Questo itinerario è uno di quelli che si possono definire EEE perché si svolge in un ambiente grandioso, selvaggio, senza alcun sentiero, su terreno ripidissimo e senza alcuna indicazione su bibliografia, dove abbiamo applicato conoscenze di alpinismo nella progressione e su calate in corda doppia, neppure gli anziani della zona sono riusciti a darci indicazioni precise e non sapevano dell’esistenza di tre grotte menzionate invece in modo impreciso nel Catasto delle Grotte della Regione Marche forse a causa delle difficoltà di ricezione del segnale GPS all’interno del Fosso, per questo motivo anche io non ho potuto inserire le coordinate precise delle cavità .
Siamo quindi saliti in esplorazione, abbiamo trovato le tre grotte indicate ed un passaggio per esplorare e salire la grande e selvaggia parete Est del Monte Argentella.
Il canale dell’Argentella che esce poco più a destra della cima, d’inverno, è invece una impegnativa e lunga salita alpinistica su ghiaccio menzionata nel libro GHIACCIO D’APPENNINO di Cristiano Iurisci (Canale d’Argento, già salito nel 1983 e addirittura disceso con gli sci nel 2000).
La cresta Nord posta tra il Canale dell’Argentella ed il Fosso Mozzacarne è risalita da un itinerario EEA già riportato in bibliografia che inizia dal Piano della Gardosa e raggiunge la cima del M.Argentella.
Mentre la cresta Est è stata risalita da noi in un itinerario anch’esso EEA descritto a pagina 72 del mio libro “IL FASCINO DEI MONTI SIBILLINI”.
ACCESSO: Il versante Est del Monte Argentella si raggiunge da Foce di Montemonaco. Si parcheggia l’auto alla fine del paesino (il proseguimento con auto verso il Piano della Gardosa è vietato !!!) e si continua la strada sterrata a piedi che conduce verso il Lago di Pilato.
DESCRIZIONE: Si percorre tutto il Piano della Gardosa (20 minuti) fino ad arrivare sulla verticale del Fosso dell’Argentella. Nel prato a destra della strada si nota un tratturo (358040,3 E – 4746606,4 N; 1120 m.) che sale dritto verso il fosso e che veniva usato per prelevare gli alberi abbattuti dalle slavine invernali. Si prende il tratturo e si risale faticosamente il ripido pendio che attualmente presenta numerosi arbusti che obbligano molte deviazioni. Dopo circa 30 minuti di salita dalla strada si raggiunge, sulla sinistra, un alto sperone roccioso oltre il quale il canale si biforca.
Si traversa verso sinistra per raggiungere la base del torrione dove si apre una prima cavità poco profonda ma caratterizzata da una volta perfettamente circolare, che, secondo il Catasto delle Grotte della Regione Marche dovrebbe essere identificata come la “Caverna nel Fosso dell’Argentella” (foto n. 2-3; 357587,7 E – 4746807,3 N; 1350 m.).
Si prosegue la cengia di sinistra che corre alla base dei torrioni rocciosi e che prosegue dalla prima grotta, dopo 100 metri si risale un po’ e si raggiunge una grande caverna, alta almeno 4 metri e profonda una decina che secondo il Catasto delle Grotte della Regione Marche dovrebbe essere identificata come la “Caverna presso il Fosso dell’Argentella” (foto n. 4-5-6-7, coordinate imprecise).
Si ritorna indietro e si riprende il Fosso dell’Argentella che, poco più a monte dello sperone roccioso si divide in due rami. Il ramo sinistro (in salita) si presenta ripidissimo e caratterizzato da saltini rocciosi e massi instabili (foto n.10) che non permettono la sua risalita. Il ramo destro (in salita) si presenta caratterizzato da un fondo erboso anche se molto ripido (foto n.11).
Qui abbiamo salito in esplorazione questo ramo del canale dove la sponda destra rappresenta la cresta che si percorre nell’itinerario EEA già riportato in bibliografia che dal Piano della Gardosa raggiunge la cima del M.Argentella risalendo appunto la cresta Nord dell’Abbandonata posta tra il Canale dell’Argentella ed il Fosso Mozzacarne (indicato nella pianta satellitare n. 47 e 49, foto n. 1A-17A ).
Si risale il canale fino al suo termine (357545 E – 4746947,5 N; 1435 m.) dove delle rocce obbligano a deviare verso sinistra risalendo un ripido pendio erboso e dirigendosi sempre verso sinistra in direzione dell’altro ramo parallelo del canale traversando su terreno molto ripido dove è consigliato l’uso di una piccozza (30 minuti; foto n.13-14-16).
Si superano due valloni erbosi con isolati alberi fino a raggiungere la sponda del ramo sinistro del Fosso (foto n. 19-20-21-22).
Qui dapprima la ripidità del Fosso e le incombenti stratificazioni di rocce sovrastanti sembrano precludere il proseguimento invece salendo in verticale la sponda destra (in salita) del Fosso fino alla base delle rocce ( 357311,6 E – 4746822,1 N; 1550 m.) si nota, con estremo stupore, una lieve traccia di un vecchio passaggio che taglia in quota il ripidissimo pendio destro del Fosso per entrare in esso e raggiungere così il cuore della parete Est del M. Argentella (foto n.28-29-30-31).
Si entra quindi nel canale caratterizzato da un fondo detritico e pareti rocciose laterali fino ad una grande stratificazione oltre la quale le sovrastanti pareti verticali impediscono la risalita (20 minuti).
Secondo anziani della zona il tracciato dovrebbe proseguire verso la sommità della Ripa Grande situata sulla sinistra del Fosso ma non abbiamo trovato traccia ne possibilità di traversata nonostante le nostre ricerche.
Dal cuore della grande parete Est del M. Argentella abbiamo visto però la possibilità di raggiungere la sovrastante zona denominata “l’Abbandonata” risalendo in diagonale verso destra i ripidissimi prati alternati da caratteristiche lunghe fasce rocciose affioranti facilmente superabili fino ad uscire sulla cresta Nord del Monte Argentella posta appunto tra il Fosso dell’Argentella ed il Fosso Mozzacarne e raggiungere la cima seguendo l’itinerario già menzionato riportato in bibliografia e che abbiamo percorso anni fa.
Per motivi di tempo e per la minaccia di temporali pomeridiani la nostra esplorazione è proseguita ancora per un centinaio di metri di quota ma poi si è fermata qui ma ciò non toglie che la porteremo a termine in altra occasione.
Durante la discesa effettuata per lo stesso itinerario di salita siamo ritornati di nuovo alla confluenza dei due rami del Fosso dell’Argentella e abbiamo quindi ricercato la terza cavità indicata nella zona, costeggiando il bosco alla destra del canale (in discesa, a valle delle prime grotte raggiunte) siamo passati sotto ad una grande parete franata quindi costeggiato in discesa uno sperone roccioso ed infine abbiamo risalito in cordata un ripidissimo canale boscoso devastato dalle frane del terremoto del 2016 fino al suo termine dove, sotto alla parete rocciosa, abbiamo ritrovato la terza piccola cavità che secondo il Catasto delle Grotte della Regione Marche dovrebbe essere identificata come il “Buco del Fosso dell’Argentella” (foto n.38-39-40-41-42; 357707,6 E – 4746626,7 N approssimate per difficoltà di ricezione GPS, 1295 m:).
Dalla cavità, per facilitare la discesa su questo tratto ripidissimo e pieno di ostacoli (massi, arbusti e alberi abbattuti) siamo scesi in corda doppia facendo sosta su alberi per poi raggiungere il tratto boscoso iniziale del canale fino al prato da dove siamo risaliti e ritornare quindi a Foce per il Piano della Gardosa (foto n. 45-46).
IMMAGINI DELLA SALITA DELLA CRESTA NORD DAL PIANO DELLA GARDOSA Luglio 2013 insieme al nostro amico Bruno (Itinerario riportato in altra bibliografia).
SASSO DI PALAZZO BORGHESE – Canale Nord salita estiva.
Il canale Nord del Sasso di Palazzo Borghese lo abbiamo già salito in invernale con Stefano il 27 gennaio 2022 a cui rimando.
Il 16 luglio 2022 ho ripetuto la salita risalendo il canale Nord su roccette e ghiaia fino alla cima, scendendo dapprima dalla sella di Sasso Borghese verso la parete Nord fino quasi al sentiero che sale dal Laghetto quindi prendendo l’imbocco del canale che, man mano che si sale, si fa più ripido fino all’uscita, su pendii di 45 gradi.
In occasione di questa salita ho effettuato una variante finale, risalendo un canalino roccioso sul lato sinistro che conduce a pendii erbosi paralleli al canale e con uscita poco più a destra del termine del canale Nord.
Di seguito le immagini della salita.
MONTE BOVE SUD – Itinerario alternativo a picco sulla Val di Panico
L’itinerario che propongo non è un vero e proprio nuovo tracciato ma un modo diverso di vivere il Monte Bove Sud, si può definire come un itinerario alternativo.
Anziché raggiungere semplicemente la cima del Monte Bove Sud deturpata dalla vecchia stazione della funivia, dai cavi a dai piloni, propongo un giro intorno al plateau sommitale della cima, destinato tanti anni fa ad un folle progetto di trasformarlo in pista da sci, ma passando ad una quota in modo da non vedere più quelle orribili strutture e nello stesso tempo avere una visione verticale della sottostante Val di Panico.
Ho evitato deliberatamente di fotografare la stazione della vecchia funivia e gli orribili piloni rimasti a sorvegliare l’area faunistica protetta del camoscio dell’appennino poiché purtroppo sicuramente conosciuti da tutti i frequentatori di questa zona dei Monti Sibillini.
Forse prima di liberare i camosci nella zona era opportuno rimuovere i cavi, i piloni e perché no, anche la vecchia stazione della funivia.
Molte immagini, per far notare la verticalità dei pendii, riprendono volontariamente i miei scarponi proprio per far capire che sono state scattate dall’alto verso il basso e non per pubblicizzarli.
L’itinerario alternativo proposto si snoda nel perimetro della cima, scendendo dai prati sommitali dapprima verso le pendici del versante Nord, verso il cosiddetto “Canale Maurizi”, canale di salita noto ai frequentatori invernali di questa montagna, per poi proseguire in quota su ripidi pendii erbosi con vista verticale sulle sottostanti pareti rocciose che formano la testata sinistra (orografica) della Val di Panico, superando in quota il canale Nord e raggiungendo la sommità dell’uscita della via invernale alla Cascata “Torre di Luna”.
Quindi si cambia lentamente versante dirigendosi verso i pendii del lato Est sorvolando nel vero senso della parola la testata della Val di Panico sottostante la Forca Cervara.
Quindi si consiglia di proseguire tutto il versante, scendere per il sentiero della Forca Cervara e raggiungere la cima che sovrasta la Forcella stessa in modo da avere una visione di tutto il versante Est del Monte Bove Sud appena traversato.
Quindi si risale in cima per il sentiero Monte Bove Sud-Forca Cervara, anche in questo caso, se si vuole, tenendosi bassi in modo da avere la visione dei piloni ma inevitabilmente rimarrà comunque in vista la Stazione della ex funivia.
MONTE CARDOSA Per la cresta Est.
Il Monte Cardosa si trova al margine dei Monti Sibillini, sulla verticale Ovest di Castelsantangelo sul Nera ed è escursionisticamente accessibile sia dalla frazione di Rapegna per ripido sentiero che risale il vallone omonimo che da Visso tramite una lunga carrareccia.
Il mio amico Giuseppe Salvucci propone un itinerario inedito e impegnativo, ripido e di oltre 1000 metri di dislivello, che risale la cresta Est del Monte Cardosa che avevo osservato da tempo ma che non avevo mai avuto modo di salire .
ACCESSO: Si raggiunge in auto l’abitato di Castelsantangelo sul Nera passando per Visso quindi superata la piazza con le attività commerciali si prosegue in direzione di Castelluccio, alla prima curva quando inizia la salita, una deviazione a destra conduce alla frazione di Rapegna. Si prosegue in auto la strada di fondovalle per altri 600 metri fino ad incrociare una ripida salita a destra che termina più in alto in corrispondenza di alcune case diroccate e stalle dove si parcheggia (348928,7 E – 474956,5 N; 790 m.).
DESCRIZIONE: Si continua a piedi il tratturo che sale ripido nel bosco costeggiando sulla sinistra il fosso della Valle di Rapegna per 1500 metri fino ad uscire su un prato con sorgente d’acqua (1 ora, 347561,3 E – 4748831,4 N; 1180 m.). Si sale sopra al prato a destra fino ad intercettare un ampio stradone che, in piano, ad una quota di circa 1180 metri, si inoltra nel bosco, in direzione Est (347543,9 E – 4748889,2 N).
Si segue il tratturo in leggera salita per circa 1,5 chilometri, superando tre ampi valloni boscosi fino ad uscire su una zona più aperta proprio in corrispondenza della cresta Est (30 minuti, 348192 E – 4750312,4 N; 1335 m.).
Da qui si risale liberamente il ripido prato sopra al tratturo mantenendosi verso il filo di cresta fino a raggiungere una barriera rocciosa continua che obbliga a deviare nettamente sulla sinistra fino ad un canalino erboso con grande cespuglio di alberi alla base che permette di scavalcarla (20 minuti, 347873,7 E – 4750030,3 N; 1485 m.).
Si sale su ripido prato passando al centro di altre formazioni rocciose isolate, questo è il tratto più ripido del percorso ed è consigliato l’uso di una piccozza.
Oltre questa seconda barriera rocciosa si devia lentamente verso destra per ripidi prati per tornare a riprendere il filo di cresta oltre la sommità del poggio roccioso appena superato (15 minuti, 347765,3 E – 4750078,4 N; 1580 m.).
Da questo punto la cresta si fa meno ripida e con altri 700 metri di salita costante si raggiunge la croce della cima del Monte Cardosa (30 minuti, 347145,9 E – 4749926,9 N; 1820 m.).
DISCESA: Dalla cima del Monte Cardosa si scende liberamente per prati e tratti alberati nel versante Sud-ovest in direzione della strada sterrata che si vede sottostante. Raggiunta la strada ci si dirige verso sinistra (Sud-est) fino ad incontrare il tratturo che scende nel vallone sottostante fino alla sorgente e da qui si scende per il sentiero di salita del fosso fino a Rapegna.
ROTTE FERRARA
Rótte Ferrara, come denominata localmente, è una grotta di cui si era persa la memoria se non fosse per pochi anziani della zona che raccontano di esserci andati addirittura quando erano ragazzi.
Due anni di ricerche e quattro tentativi falliti, ma finalmente è stata riscoperta ed è un ritrovamento sensazionale. È proprio vero: i Monti Sibillini sono lunghi poco più di 30 chilometri e larghi appena 5 ma non finiscono mai di stupirci.
La grotta è particolarissima e del tutto sconosciuta alla letteratura ufficiale: non è menzionata né riportata in alcuna bibliografia, cartografia o catasto speleologico. Si apre nel selvaggio versante Nord del Monte Priora, tra Il Pizzo ed il Pizzo Regina, nell’alta valle dell’Ambro.
L’itinerario di raggiungimento si svolge su terreni ripidissimi, è scomodo, impegnativo e adatto solo ed esclusivamente ad escursionisti esperti. È consigliabile portare una piccozza soprattutto per l’attraversamento dell’ultimo tratto di pendio e per la discesa del canalone prima della grotta.
Ringrazio di cuore chi mi ha indicato questo magico luogo pur volendo restare nell’anonimato.
ACCESSO: Si raggiunge la frazione di Vetice di Montefortino in auto.
DESCRIZIONE: Da Vetice si prende il classico e conosciuto sentiero n.224 che risale i Campi di Vetice in direzione de Il Pizzo-Sorgenti dell’Ambro.
Prima di giungere a Prato Porfidia il sentiero si dirama, e si prosegue a sinistra in salita nel bosco per il tracciato che conduce a Il Pizzo (o Monte Pizzo). [indicazione in vernice rossa su un albero]
Giunti all’ultimo tornante, il sentiero curva verso sinistra, uscendo su un prato e poi rientrando nel bosco (1 ora, 358517,2 E – 4756222,6 N; 1495 m.).
Dal prato che si apre a destra (Jacciu de le Murelle) si risale senza traccia il dosso erboso costeggiando alla vostra sinistra il bosco, per circa 200 metri (foto n.1; 70 metri di dislivello) fino ad affacciarsi sul versante ovest (358374 E – 4756111,6 N; 1575 m.); da qui si individua chiaramente la traccia che inizia a traversare in piano su ripidi pendii.
La traccia continua netta in quota, entra in un canalone con fondo ghiaioso, segue due curve del pendio e prosegue per l’unico punto possibile di passaggio, montando su uno sperone di roccia molto esposto dove il sentiero è stato intagliato nella pietra per superare una cresta rocciosa verticale (foto n.2-3; 358241,3 E – 4756078 N; 1580 m.).
Superato questo stretto e obbligato passaggio il sentiero prosegue su ampi ma ripidi prati in quota in lieve e costante salita, fino raggiungere quasi la base delle rocce sovrastanti e superando ben 10 canaloni ghiaiosi denominati “I Cavù”. Questo è il vecchio sentiero che attraversa tutta la zona denominata “Li Cavù”, collegando la zona delle Murelle alla zona della Regina.
In corrispondenza dell’ultimo canalone il pendio si fa ancora più ripido e si perde il tracciato ma si è già in vista delle prime rocce, chiamate localmente “La Travertina”, sulla dirittura delle Roccacce che si trovano nel lato opposto della valle, sotto le quali si apre la grotta (1 ora, 357719,5 E – 4755904 N; 1655 m.).
Si prosegue in leggera salita passando su un terreno degradato e reso scivoloso dalle slavine facendo molta attenzione, dirigendosi sopra al ripidissimo canalone erboso, il Ravaro di Ferrara, che precede le prime rocce de La Travertina.
Superato il canalone si ridiscende su un dosso erboso più comodo (le pogghiette, 357400,8 E – 4756018 N; 1635 m.) verso la cima dei primi torrioni sottostanti (la travertina).
Consigliamo qui un affaccio sul versante della Regina (foto n.18).
Dal dosso erboso si inizia a scendere nel ripidissimo canalone erboso del Ravaro di Ferrara, prima attraversando sopra alle rocce in direzione est, poi piegando a nord per entrare completamente dentro al vallone dove è bene tenersi verso la sponda di sinistra meno inclinata aggirando così le prime roccette. Sempre sulla sinistra, dopo essere scesi per 30 m circa, si nota una cengia erbosa in leggera salita da cui però è impossibile vedere l’ingresso della grotta fin quando non vi si è arrivati di fronte, in quanto si trova alla fine della salitella, nascosto dai rovi e ribassato rispetto al livello del terreno.
Si risale la cengia erbosa e con rovi ma essendo l’ingresso della grotta molto basso la si nota sono quando si è arrivati di fronte (30 minuti, 357452,7 E – 4756041,5 N; 1595 m.).
Il pavimento della grotta è formato da un terriccio rosso probabilmente contenente minerali ferrosi, da cui forse prende il nome (Ferrara perché contenente ferro) è molto umido ed è infatti ricoperto di epatiche e presenta anche una pozzetta d’acqua rossa riempita con lo stillicidio delle gocce d’acqua che scendono dal soffitto.
Evitare assolutamente di calpestare le epatiche presenti nel pavimento dentro alla grotta.
Sulla destra è presente una spaccatura che segue le pieghe della roccia, da cui filtra la luce, altre spaccature creano numerose nicchie al suo interno.
Sulla sinistra c’è la cavità più grande profonda oltre 6 metri.
RITORNO: Stesso itinerario 2,5 – 3 ore. Per chi è pratico di alpinismo si può anche suggerire una discesa in coda doppia, assicurata sugli alberi, lungo il Ravaro di Ferrara, il canalone sottostante le grotte, tenendosi inizialmente sulla sinistra per rischio di caduta massi dal versante orografico destro fino ad intercettare il, molto più comodo ma molto più in basso, sentiero Vetice – Sorgenti dell’Ambro nella zona dell’Acqua Arva.
I TERRAZZI DA BRIVIDO DEI MONTI SIBILLINI – Parte 4 – I TORRIONI NORD-EST DI PIZZO DI META
La cresta Nord-est del Pizzo di Méta precipita verso la vallata sottostante per circa 800 metri di dislivello, dai 1556 metri della cima ai 737 metri di Piobbico, se si prende come riferimento l’inizio della strada che da Sarnano sale a Sassotetto costeggiando la cresta, ed è formata da una serie di imponenti torrioni molto diversi tra di loro in quanto formati da rocce distinte.
Si parte dallo spettacolare Balzo Rosso, (foto n.1-4, da non confondere con il Balzo Rosso a Sud-est del Monte Amandola) che incombe sulla vallata tra Terro e Piobbico, due frazioni di Sarnano, formato da calcare rosso (scaglia rossa) da cui il nome, a quello centrale denominato dagli arrampicatori “Il Duomo”, (foto n.14-16) formato da placche di calcare disposte in strati verticali, palestra di arrampicata attrezzata dal CAI Sarnano, al torrione finale, posto un centinaio di metri sotto la cima del Pizzo di Mèta, a cui ho attribuito il nome del “torrione dell’altare” per la presenza di un grande masso perfettamente piatto simile ad un altare sulla sua sommità (foto n. 36-38).
Da un pò di tempo si osserva sui social l’abitudine di attribuire nomi di fantasia a cime del Monti Sibillini come le inesistenti Pizzo Pae e Cima Felix, vista la mia frequentazione dei Monti Sibillini, con oltre 1100 ascensioni, mi sono permesso di denominare, ma non di scrivere il nome con il pennarello sul postocome fanno alcuni di cui non faccio commenti, questo singolare masso “l’altare “, visto che poco al di sotto è presente un torrione denominato in zona “Il Duomo”.
Le sommità dei tre torrioni possono essere raggiunte in una unica ascensione e permettono di affacciarsi da dei terrazzini da brivido e godere di una visione aerea delle vallate sottostanti fino alla costa.
Il Torrione dell’Altare è interessante anche perché nelle rocce della sommità si trovano delle mineralizzazioni a Ossidi di ferro e Quarzo, altrimenti molto rare o forse uniche nel resto della Catena dei Monti Sibillini.
L’itinerario descritto non è particolarmente lungo e faticoso ma comunque consigliato ad escursionisti esperti in quanto si devono salire alcuni tratti piuttosto ripidi.
Se poi si vuole salire il torrione del Duomo per una delle sue vie alpinistiche si deve disporre di esperienza di salita su roccia e del materiale necessario quale corda, rinvii e chiodi.
ACCESSO: L’itinerario che descrivo per salire la cresta Nord-est del Pizzo di Mèta parte dalla strada Sarnano-Sassotetto. Da Sarnano si prende la Strada Provinciale n.120 che sale verso la frazione di Piobbico e quindi prosegue per Sassotetto. Dopo Piobbico, giunti al quarto tornante in salita, proprio di fronte all’imponente Balzo Rosso, è presente una piccola area pic-nic (con un solo tavolo) e una fontanella, ormai quasi asciutta, dove si parcheggia, considerare che al massimo ci sono due posti auto (357254,6 E – 4764376,4 N; 1105 m.).
DESCRIZIONE: La salita prevede nella prima parte, per raggiungere la sommità di Balzo Rosso, due possibilità (foto n. 64 e 66):
1A- Dall’area pic-nic si sale su traccia di sentiero il pendio di fronte in direzione del Balzo Rosso, arrivati fin quasi alle falde rocciose si sale al margine del bosco su pendio molto ripido e quindi usciti dal bosco si devia verso destra fino a raggiungere la cresta rocciosa, poco sopra la cima del Balzo Rosso, che si deve scendere per affacciarsi dalla sua sommità (10 minuti).
2A- Dall’area pic-nic a piedi si ritorna indietro per la strada per circa 200 metri fino a raggiungere il canalone boscoso che scende dalla curva della strada, sotto strada si trova una traccia di sentiero che, dirigendosi verso sinistra, inizia a costeggiare la base dell’imponente muraglione roccioso strapiombante che termina con il Balzo Rosso, ignorare la traccia che scende a valle ma mantenersi a ridosso della parete, al di sotto della quale è presente anche una vecchia vasca di raccolta delle acque di stillicidio che cadono dalla parete stessa. Si prosegue faticosamente sotto alle rosse pareti su pendio ripido alternato ad erba e roccette per circa 600 metri, si supera la base del torrione e si continua a costeggiare la parete fino a che il bosco dirada e ci si trova su un pendio erboso molto ripido che forma un imbuto tra due cime. Si sale direttamente il pendio con alberi isolati al centro dell’imbuto con attenzione deviando leggermente verso sinistra fino a raggiungere il dosso erboso che sovrasta la cima del Balzo Rosso, quindi scendendo la cresta erbosa si raggiunge la cima del Balzo Rosso (45 minuti dall’area pic-nic). Questa variante, effettuata per la prima volta diversi anni fa, è consigliata solo ad escursionisti esperti.
Una volta raggiunto il Balzo Rosso (357353,3 E – 4764623,6 N; 1170 m.) ed essersi affacciati, con molta cautela, dalla sua cima, si deve risalire la cima erbosa sovrastante per facile cresta (5 minuti, 357308,7 E – 4764776,2 N; 1280 m.).
Dalla cima si trova una traccia di sentiero che scende in direzione opposta, verso Sud-ovest, fino ad una forcella, (357198,4 E – 4764696.3 N; 1265 m.) qui il tracciato, il cosiddetto “Sentiero della Fienara”, (foto n.7 e 10), riportato in bibliografia si fa più netto e continua in piano sotto alla cresta ma, giunti in questo punto conviene ignorarlo in quanto più avanti porterebbe fuori obiettivo, inoltre la zona, essendo rimboscata, presenta numerosi ripiani confondibili con sentieri e che inducono facili in errori.
Dalla forcella si lascia il sentiero a sinistra e si riprende invece la ripida cresta che si presenta di fronte, evitando un primo salto roccioso. Proseguendo, la cresta si fa rocciosa in leggera salita e costeggia nel versante destro (Nord) il bosco. Quindi con un ultimo tratto all’interno di un boschetto si raggiunge la base del secondo imponente torrione detto Il Duomo (30 minuti, 356957 E – 4764542,5 N; 1320 m.).
Anche qui si hanno due possibilità (foto n.67-68).
1B- Si costeggia a sinistra tutto il torrione passando alla sua base boscosa fino al termine delle rocce oltre il quale si apre un ripidissimo canalone (356886 E – 4764367,8 N,1315 m.), boscoso nella prima parte, che si risale, passando al di sotto di curiose formazioni rocciose (foto n.17), e, con una ultima risalita su ripida erba e facili roccette, conduce alla sommità del torrione stesso (20 minuti, 356859,7 E – 4764483,2 N; 1360 m.) da cui potersi affacciare e ridiscendere.
2B- Chi arrampica può salire la cresta nord-est del torrione su una via di roccia chiodata che presenta passaggi di IV grado su placche alternate a fessure erbose, che ho risalito molti anni fa ma di cui non ricordo dettagliatamente al punto tale da riportarne la descrizione per non indurre errori ai ripetitori, nel Duomo sono presenti 4 vie di IV-VI grado di due tiri ciascuna di cui però purtroppo non si trova descrizione neppure in bibliografia, comunque costeggiando la base del torrione si scorgono le chiodature.
Una volta giunti al termine della base del Duomo (oppure raggiunta la cima si deve ridiscendere alla sua base per il canalone descritto al punto 2A) si inizia a traversare verso sinistra su pendio ripido in lieve salita seguendo in quota la linea di boschetti isolati presenti in zona passando alla base di formazioni rocciose fino ad una parete rocciosa caratterizzata da due piccole cavità (15 minuti, foto n.18, 356799 E – 4764253,6 N; 1360 m.). Aggirando a destra lo spigolo della parete si apre un ripido canalone erboso dove in alto si notano le formazioni paravalanghe presenti poco sotto la cima del Pizzo di Mèta . Si risale con attenzione il ripido pendio erboso fin quasi a raggiungere le barriere metalliche quindi deviare nettamente a destra per raggiungere il primo torrione dove è presente una mineralizzazione ad Ossidi di ferro e Silice. Dal torrione (20 minuti, 356720,1 E 4764386,8 N; 1425 m.)si osserva, verso Nord, la cima leggermente più bassa del torrione parallelo, il Torrione dell’Altare (356659,5 E – 4764478,2 N: 1415 m.), dove è presente il masso che appunto sembra un altare.
Nelle rocce dei due torrioni paralleli si trovano gli affioramenti mineralizzati a ossidi di Ferro con noduli di Calcedonio e cristallini di Quarzo, come riportato nelle foto n. 43-55
Dal torrione dell’Altare si risale il ripido pendio erboso sovrastante fino alla cima del Pizzo di Mèta caratterizzato da una croce metallica (10 minuti, 356502,2 E – 4764308,5 N; 1556 m.).
DISCESA: Dal Pizzo di Mèta si può ridiscendere per la strada sterrata del versante Ovest fino ai campi da sci di Sassotetto, il classico itinerario di raggiungimento alla cima, quindi proseguendo la strada asfaltata in discesa per almeno 5 chilometri in direzione di Sarnano si raggiunge il tornante con l’area pic-nic di fronte a Balzo Rosso dove si è parcheggiato l’auto.
Oppure, per chi conosce la zona, si scende liberamente nel versante Est senza tracciato fino ad un pianoro sottostante (foto n.60-62) dove si scorge un sentiero, seguendolo fedelmente si scende sulla strada Sassotetto-Sarnano, sulla verticale di Fonte Lardina.
PIANI GRA – IL ROSETO DEI MONTI SIBILLINI
Questa che descrivo è, contrariamente alla maggior parte degli itinerari che propongo, una facilissima escursione adatta a tutti e anche alle famiglie e a chi ama la natura ed in particolare le rose e che permette di immergersi nel più grande roseto dei Monti Sibillini.
Il periodo migliore per l’escursione va da metà giugno ai primi dieci giorni di luglio a seconda delle temperature della stagione ma consiglio di effettuare due escursioni ai margini del periodo proposto in quanto le fioriture delle varie specie di rose non avvengono contemporaneamente.
Inoltre consiglio di ripetere l’escursione verso la fine di agosto dove si possono osservare le, non meno belle, diverse infruttescenze dei vari tipi di rose che compongono il roseto, dette Cinorroidi.
I Piani Gra si trovano nel versante Sud del Monte Valvasseto, nel gruppo Nord dei Monti Sibillini, ad una quota media di 1400 metri, facilmente raggiungibili a piedi dalla Pintura di Bolognola proseguendo la strada sterrata che sale verso le case più alte.
Le rose che crescono nei piani sono di diverse specie, a fiori bianchi, rosa chiaro, rosa scuro e rossi e con relativi frutti, detti Cinorroidi, diversi, sferici di colore rosso scuro, sferici con spine, allungate rosso chiaro e rosso scuro, la cui distinzione botanica, non facile, lascio agli esperti.
Il roseto, sicuramente il più esteso e ricco che abbia mai visto nell’intero gruppo dei Monti Sibillini, presenta una alta concentrazione di piante, di specie diverse, per ettaro, come visibile dalle foto n.1-2 del 23 agosto 2021, si è sviluppato rigoglioso grazie al pascolo estivo di bovini ed equini nella zona che provvedono alla loro concimazione, inoltre essendo spinose, non vengono brucate dagli animali.
Dal roseto poi si può salire facilmente, per traccia di sentiero, al sovrastante Monte Valvasseto da cui si può ammirare la sua estensione.
D’inverno la zona è conosciuta come la pista di sci di fondo della Pintura di Bolognola.
Nei pressi, al lato destro dei Piani, è presente la bellissima faggeta di Macchia Tonda e il faggio secolare già descritta in diversi articoli nel mio sito:
-Monte Valvasseto e Macchia Tonda con Galaverna, articolo del Gennaio 2022 e del Febbraio 2021.
– Il Faggio di Macchia Tonda, articolo del Novembre 2020.
Di seguito le immagini del roseto della primavera del 2022 e dell’estate 2021.